Politica

L'altolà di Cantone: grandi appalti, basta deroghe

Il pm ancora senza poteri punge il premier: "Il Daspo per i corrotti c’è già"

Le cifre delle mazzette per il Mose lievitano, la rabbia cresce, le smentite fioccano. Ma l'inchiesta va avanti, e il quadro è sconvolgente, altro che anni '90 e Mani Pulite. Le dichiarazioni di Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani spa, capofila del Consorzio Venezia nuova, che in un'intervista a Repubblica ha parlato di una stecca da 100 milioni di euro l'anno che i costruttori sborsavano per garantirsi gli appalti, stecca che moltiplicata per dieci, undici anni, porta a una maxitangente da oltre un miliardo, stanno facendo scalpore. Giovanni Mazzacurati, ras del consorzio per vent'anni, non indagato in questa tranche d'indagine perché già coinvolto nel filone madre, tramite il suo legale Giovanni Battista Muscari Tomaioli, smentisce le accuse di Baita, che lo ha indicato come il deus ex machina che «decideva tutto, il fabbisogno della politica e soprattutto le assunzioni dei figli importanti»: «L'ingegnere Mazzacurati – dice il legale – ha preso atto delle dichiarazioni di Piergiorgio Baita. Noi abbiamo un profilo differente e riteniamo che il tutto sia da affidare all'autorità giudiziaria. L'ingegnere avrebbe molto da dire, ma non riteniamo che sia opportuno e neppure il momento per farlo».

Dalla smentita di Mazzacurati a quella di Davide Zoggia, deputato Pd fedelissimo di Pier Luigi Bersani, chiamato in causa da un pizzino trovato in casa di una dipendente del Consorzio ma soprattutto dall'ex ad della società «Autostrada di Venezia e Padova» Lino Brentan, che lo indica come «beneficiario di 65mila euro», in occasione delle Provinciali del 2009, poi perse al ballottaggio. «Non c'è nulla di rilevante dal punto di vista penale», aveva detto il deputato a Repubblica. Ma ieri Zoggia ha smentito anche la sua smentita, minacciando querele per chi accosti il suo nome al caso Mose: «Debbo precisare con forza nonostante il tentativo di attribuirmi diversa dichiarazione, di non avere mai ricevuto gli importi riportati come dichiarazione del signor Brentan e di non aver mai conosciuto il signor Baita, che non mi risulta essere stato presente alla cena elettorale alla quale ho partecipato».

Un sistema tangentizio strutturato, quello che girava attorno al Mose. «È un sistema – dice il presidente dell'autorità anticorruzione Raffaele Cantone – che era rodato a 360 gradi e del quale facevano parte politici, magistrati contabili, esponenti delle forze dell'ordine e così via». Cantone, che ha smentito frizioni con Renzi assicurando che resterà al suo posto, punge però il premier a proposito del Daspo ai corrotti: «La norma – ha ricordato – c'è già nella legge Severino per i nuovi appalti, va applicata». E replicando a chi lo chiama «San Cantone»: «Non c'è qualcuno che abbia poteri salvifici o la bacchetta magica». Ma una ricetta quella sì, la indica: basta deroghe sui grandi appalti: «La situazione è paradossale», la legge sugli appalti, con tutti i suoi formalismi, si applica solo per i piccoli, perché sui grandi si va in deroga.

È possibile avere una legge che regoli tutto senza deroghe».

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