Politica

La Cassazione ha fretta Ma le motivazioni sprint sono piene di anomalie

Tempi record di deposito, "copia e incolla", la firma collettiva dei giudici: sentenza politica contro il Cav

Il presidente della sezione feriale della corte di cassazione Antonio Esposito
Il presidente della sezione feriale della corte di cassazione Antonio Esposito

Proprio come aveva già detto Esposito nell'intervista al Mattino. Confermato, dunque: Berlusconi è stato condannato perché sapeva, mica perché non poteva non sapere. La motivazione della sentenza arriva a tempo di record, neppure un mese dopo il verdetto del primo agosto. E all'indomani del provvedimento sull'Imu, che rischiava di far cadere il traballante governo Letta. In più, è un unicum con la firma di tutti e cinque i giudici della Cassazione e non solo di relatore e presidente, come succede normalmente, proprio per ribadirne la collegialità e difendere dalle critiche Esposito.

Tutte ragioni che la fanno apparire ancor più una sentenza politica, che acriticamente ha confermato le due precedenti, quasi con un copia e incolla. Nel «gioco di specchi» del sistema di evasione fiscale di Mediaset l'immagine che rimbalzava era sempre quella di Silvio Berlusconi. Il leader Pdl, secondo la sentenza della Cassazione di cui ieri è stata resa nota la motivazione, era «l'ideatore» del «meccanismo del giro dei diritti tv che a distanza di anni continuava a produrre effetti illeciti di riduzione fiscale per le aziende a lui facente capo in vario modo». La sezione feriale della Suprema corte deposita 208 pagine in cui spiega perché ha reso definitiva la condanna del Cavaliere.

Oltre alla fretta in cui, nella calura ferragostana, si è voluta mettere la parola fine sulla controversa vicenda che rischia di escludere dalla scena politica il capo del maggiore partito di centrodestra, un particolare è significativo: come abbiamo detto, tutto il collegio dei 5 giudici firma la sentenza e non solo il relatore Amedeo Franco insieme al presidente Antonio Esposito. Un fatto inusuale, se non addirittura unico, e il significato è evidente dopo le polemiche per l'intervista di Esposito, in cui ha anticipato questa stessa motivazione finendo sotto osservazione per un procedimento disciplinare e per un possibile trasferimento d'ufficio da parte del Csm. Ora che molte ombre pesano sull'imparzialità della sentenza gli altri giudici del collegio fanno fronte comune in difesa del presidente, sottolineando con il loro gesto l'unanimità della decisione e delle sue argomentazioni. E dando sempre più l'impressione di una sentenza politica, sulla difensiva rispetto alla gran mole di obiezioni che sono emerse in queste settimane in modo eclatante. Tutta di conferma delle due condanne precedenti.

«Berlusconi - si legge nella motivazione - conoscendo perfettamente il meccanismo ha lasciato che tutto proseguisse inalterato, mantenendo nelle posizioni strategiche i soggetti da lui scelti e che continuavano a occuparsi della gestione in modo da consentire la perdurante lievitazione dei costi di Mediaset a fini di evasione fiscale». Anche dopo l'entrata in politica e l'abbandono delle cariche nelle aziende, per la Cassazione quei soggetti erano «in continuativo contatto diretto con lui». Lo informavano della frode fiscale, anche quando era premier. È quel principio della colpevolezza «perché sapeva» e non perché «non poteva non sapere» che Esposito spiegava al giornalista del Mattino. Promuovendo le due sentenze di merito che hanno condannato Berlusconi, la Cassazione afferma dunque che la responsabilità diretta di Berlusconi è provata e non solo frutto di deduzioni basate su nessun fatto accertato, come sostengono i legali del Cavaliere. «Una sentenza con una motivazione inesistente e quindi una decisione del tutto fuorviante e totalmente sconnessa dalla realtà dei fatti», affermano commentando in una nota le motivazioni Niccolò Ghedini, Piero Longo e Franco Coppi. Che aggiungono: «Un collage delle precedenti decisioni».

Le conclusioni della sentenza, dice la motivazione, «sono del tutto conformi alle plurime risultanze probatorie», valutate con «adeguate argomentazioni del tutto immuni da vizi logico-giuridici». Per i giudici c'era sempre Berlusconi dietro il gioco di specchi per l'acquisizione dei diritti tv, che «rifletteva una serie di passaggi privi di giustificazione commerciale» e «ad ogni passaggio» comportava una lievitazione di costi «a dir poco imponente». Mentre viene liquidata così la tesi della difesa: «L'assoluta inverosimiglianza dell'ipotesi alternativa che vorrebbe tratteggiare una sorta di colossale truffa ordita per anni ai danni di Berlusconi» da parte di «personaggi da lui scelti e mantenuti nel corso degli anni in posizioni strategiche». Non era il Cavaliere un grande imprenditore? E come poteva essere «così sprovveduto» da farsi infinocchiare? Per i giudici il patrimonio del Cavaliere è nato così: «La definizione come sovraffatturazione appare quasi un sottodimensionamento del fenomeno descritto e, anzi, inadeguata a definirlo».

E a pagina 181: «È pacifica e diretta la riferibilità a Berlusconi dell'ideazione, creazione e sviluppo del sistema che consentiva la disponibilità del denaro separato da Fininvest e occulto». Pacifica o provata, signori giudici?

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