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«La Chiesa non vuole la vita a tutti i costi»

Cita un grande filosofo come Han Georg Gadamer: «L'essere umano cammina sul crinale fra due abissi: di qua la sopravvivenza a tutti i costi, contro natura; di là la morte». Poi Giovanni Reale, studioso di Platone, autore con Dario Antiseri di un fortunato manuale tradotto anche in russo e cinese, oggi professore all'Università del San Raffaele, prova a riassumere il suo pensiero: «La vita ha una sua sacralità. Ma questa sacralità deve incontrarsi con la sacralità della morte».
Professor Reale, il cardinal Martini ha detto no all'accanimento terapeutico. Se l'aspettava?
«Certo. La distinzione fra vita a tutti i costi, artificialmente, solo grazie ad una tecnologia sempre più invadente, e eutanasia è netta, nettissima anche nel catechismo».
Sarà chiara la divisione a livello concettuale, ma in pratica?
«Si tratta di vivere e di morire secondo natura. L'eutanasia accelera, interviene, spegne una vita che potrebbe andare ancora avanti».
L'accanimento?
«Prolunga l'esistenza solo grazie alle macchine che tengono accesa una vita che invece sarebbe arrivata al capolinea. Sono due estremi compresenti nella nostra civiltà. C'è chi si suicida così come c'è il feticismo della vita. Leggo, e non so se sia vero, di persone che in America si sono fatte congelare in punto di morte perchè sono convinte che un giorno torneranno alla vita».
Ma c'è anche chi chiede di rinunciare alle cure perché non ne può più delle sofferenze.
«Lo so. È un atteggiamento sempre più diffuso nella nostra civiltà che ha smarrito il senso della sofferenza e ancor di più quello della morte che invece nel passato - pensi agli antichi egizi - era fondamentale».
D'accordo, ma ha senso rimpiangere la mentalità dei nostri padri e dei nostri nonni?
«Non si tratta di voltare la testa all'indietro, ma di non perdere una ricchezza che è arrivata fino a noi. Sa che oggi c'è già chi propone di abolire pure il funerale?
Paradossi.
«No, perché si tenta di prolungare la vita fino all'inverosimile. Di conseguenza la morte scompare e il corpo del defunto diventa uno scarto da eliminare, salvo i pezzi di ricambio che possono essere riutilizzati».
Insomma, quale è l'atteggiamento più adeguato davanti al finale dell'esistenza?
«Si tratta di coniugare la nostra libertà con la realtà, o se preferisce, con la natura. Arriva un momento in cui la natura ci chiama perchè il nostro tempo è finito. E' sbagliato accorciarlo, perchè la vita è un bene indisponibile, ma è folle anche la presunzione di volerlo allungare a qualunque prezzo».
Forse nelle riflessioni su queste tematiche tornano anche antichi steccati fra laici e cattolici?
«Il grande Albert Camus, che si professava non credente, ha capito alcuni concetti di fondo del cristianesimo meglio di tanti fedeli. E nel suo capolavoro «L'uomo in rivolta» dice: Cristo è venuto a prendere su di sé la morte e la sofferenza. Fino in fondo. E fino a disperarsi».
Dunque, non sarà la tecnologia a salvarci?
«La tecnologia ci aiuta, e non poco, a vivere meglio, ma non può diventare la nostra unica bussola. E invece c'è già chi ritiene che la morte sia negoziabile».
Negoziabile?
«Sì. Già oggi il momento della dipartita può essere spostato avanti o indietro, a seconda dei parametri, degli standard utlizzati. Pensi alle procedure che si devono rispettare per i trapianti, la morte oscilla come un pendolo, viene allontanata come un ospite ingombrante di qualche ora, oppure arriva di gran carriera, come un invitato da tutti atteso. Ma questa onnipotenza della scienza, e di tutto ciò che dalla scienza deriva, non è sufficiente. L'uomo, ogni uomo, ha bisogno di ben altro».
Il caso di Eluana?
«Io sto col padre che aveva chiesto di farla finita con questa agonia infinita».
L'alimentazione con il sondino era ed è una forma di accanimento?
«Magari non subito. Ma dopo dieci anni e passa di vita vegetativa direi di sì. Si era andati troppo in là».
Le suore che accudivano Eluana non sarebbero d'accordo con lei.


«Alle suore domanderei: ma che vita era?»
Sarà, ma chi decide il punto di non ritorno?
«L'importante, per citare Jacques Ellul, è non derubare la vita del suo momento più importante: la morte».

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