Politica

Il Colle ignora la crisi per salvare Letta

Napolitano non vuole né la caduta del governo né il rimpasto. E si limita a chiedere al premier un passaggio in Aula

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano

Roma - L'intronizzazione di Renzi alla guida del Pd rischia di lasciare con le gomme a terra il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. Lo si è capito dall'intervista a Repubblica con la quale ieri il vicepremier e ministro del'Interno ha cercato di replicare all'avviso di sfratto che il sindaco di Firenze aveva inviato sempre tramite Largo Fochetti a Letta & compagnia. «Renzi non tiri troppo la corda perché noi non abbiamo paura di andare a votare. Decida lui se assumersi la responsabilità di far cadere il presidente del Consiglio del suo partito», ha dichiarato Alfano. Ovviamente Matteo, ieri a Trieste per il suo tour elettorale, non ci ha pensato su due volte a ricordare al leader di Ncd che i rapporti di forza non sono tali da consentirgli di pretendere alcunché. «Non tiriamo la corda, sono gli italiani che stanno tirando la cinghia», ha controbattuto sottolineando che «le priorità per il 2014 sono: taglio dei costi della politica, piano per il lavoro ed Europa». In coda il veleno. «Se Alfano ha voglia di fare queste cose, le faccia», ha concluso praticamente decretando che il contratto di programma vagheggiato dal vicepremier ha un solo estensore (il Pd renziano) e una serie di sottoscrittori, obbligati a firmarlo. Ecco perché lunedì 2 dicembre 2013 nelle cronache politiche potrà ricordarsi come un giorno di «botta e risposta» tramite agenzie tra i renziani, impegnati a svincolarsi dall'abbraccio con un governo nel quale non si riconoscono (fiaccandone però l'azionista di minoranza e non il premier Enrico Letta) e un Ncd che non vuole passare alle cronache solo come una microscissione «governista» di Forza Italia. La sintesi è nelle parole del ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi. «Chiederemo di decidere cinque-sei punti prioritari stabilendo anche le date dei Consigli dei ministri per la loro approvazione», ha detto. Non ci sarebbe bisogno di spiegarlo vista la limpida chiarezza, ma un'ulteriore traduzione potrebbe essere: «Il Pd di Renzi detti l'agenda e noi ci adegueremo». Il sindaco ha comunque avvertito, per evitare equivoci: «La sera del 9 dicembre (il giorno dopo le primarie, ndr) partecipo alla riunione per decidere quale atteggiamento tenere l'11, quando Letta si presenterà alle Camere».

Ma non è per queste scaramucce verbali che si può definire Ncd come una «ruota di scorta» del governo. Piuttosto, è l'accanimento dei deputati renziani nei confronti degli alfaniani a sminuirne la rilevanza politica. «Alfano non è in grado di porre condizioni e invece vedo che parla di corde», ha sentenziato Dario Nardella, già vicesindaco nella giunta di Palazzo Vecchio. Il renziano doc Antonio Funiciello è stato ancor più schietto. «Qualcuno che gli vuole bene spieghi ad Alfano che tra un po' non farà neppure più ridere», ha twittato riferendosi ai calembour spesso utilizzati dal titolare del Viminale in riferimento alla più o meno conclamata volontà di Renzi di «prendersi la sedia di Letta». «Prima servono i voti e poi si detta l'agenda», ha aggiunto Angelo Rughetti. La levata di scudi dei «diversamente berlusconiani» non è stata soft. «Gli odierni proclami in chiave tardo sovietica intrisi di incomprensibili diktat destano vivo allarme: attenzione che fra “tirare la corda” e “tirare la cinghia” non si strozzi definitivamente il Paese», ha replicato Paolo Naccarato. «Non accettiamo lezioni di autorevolezza e credibilità da nessuno. Avremmo potuto starcene comodamente all'ombra di Berlusconi ma abbiamo scelto il bene dell'Italia», si è indignato Nino Bosco.

Che forse un po' di rimpianto per aver proseguito una navigazione in balia delle bizze del sindaco ce l'ha.

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