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Compleanno al veleno per la Lega

La Lega compie quarant'anni, è il partito più longevo tra quelli presenti in Parlamento e auguri al suo segretario Matteo Salvini

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La Lega compie quarant'anni, è il partito più longevo tra quelli presenti in Parlamento e auguri al suo segretario Matteo Salvini. Faccio un passo indietro: 1992, venerdì di vigilia elettorale, io, giovane cronista del Corriere della Sera, sono nell'ufficio di piazza Duomo a Milano di un mostro sacro del giornalismo e della politica, Giovanni Spadolini, segretario del Partito (...)

(...) Repubblicano, per la rituale intervista di fine campagna elettorale. Da sotto arriva il vociare di qualche centinaio di persone che stanno assistendo al comizio finale di Umberto Bossi, un matto che dice di voler ribaltare l'Italia.

Il Professore, così pretendeva di essere chiamato Spadolini, mi chiede: giovane collega, che cosa ne pensa di questi pagliacci, mi faccia un pronostico. Io, che professore non sono, in verità non sono neppure laureato, azzardo: finiranno sopra il cinque per cento. Lui mi guarda dall'alto della sua statura fisica e intellettuale: si vede che lei è un cronista che non si intende di politica, questa elezione decreterà la loro fine. Anche lo spoglio, poche ore dopo, decreterà che

non avevo capito bene, nel senso che la Lega di Bossi incassò il nove e da quel momento divenne centrale, ben più del Pri del Professore, nella politica italiana. Racconto questo aneddoto per dire quanto sorprendente, innovativa e geniale fu l'intuizione di Umberto Bossi di dare voce a un Nord fino a quel momento marginale nelle dinamiche politiche nazionali. L'incontro pochi mesi dopo tra lui e Silvio Berlusconi scrisse la storia - quella del Centrodestra -, che continua ancora oggi. Onore quindi al vecchio Bossi e alla sua lucida follia che però, e qui veniamo a tempi più recenti, non seppe gestire. Travolto dalle miserie del suo cerchio magico familiare e politico, lasciò nel 2012 la guida della sua Lega ridotta a un partitino del quattro per cento. Fine triste per un condottiero del suo calibro. Passò forzatamente la mano a un giovane Matteo Salvini che, nel 2013, lo sconfisse alle primarie con l'82% dei voti e tutti pronosticarono che quella storia era finita. Andò diversamente, molto diversamente: il partito è arrivato a superare il trenta per cento, oggi seppur ridimensionato è saldamente al governo del Paese e il suo segretario è vicepremier. Poteva andar meglio, certo, ma anche molto peggio e per

questo il fatto che oggi il Fondatore chieda la testa di Salvini ci sembra qualcosa di simile alla sindrome rancorosa del beneficiato. Bossi, pur perdente e sconfitto, è sempre stato tenuto in palmo di mano in tutti i sensi dalla Lega post bossiana come si deve fare con chi ha iniziato una storia. Ma Bossi, detto con affetto anche da parte nostra, non è più nella storia contemporanea, vive in un mondo tutto suo fatto di ricordi e popolato da reduci di una battaglia e di un mondo che non c'è più, quello della Padania e della sua secessione, e che - dico io - mai più potrà esserci. Matteo Salvini, piaccia o no, vive la contemporaneità del mondo e della politica, Bossi e i suoi pochi seguaci sono invece come quel giapponese asserragliato nella giungla che non voleva accettare l'idea che la guerra fosse persa e quindi rifiutava di arrendersi.

Merita rispetto, certo, ma fa anche tanta tenerezza.

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