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Consulenze d'oro, c'è la condanna «Il dg di Sesto paghi 165mila euro»

Milano Una consulenza d'oro, affidata dal comune «rosso» di Sesto San Giovanni a uno nei nomi più importanti della finanza democratica, l'avvocato Guido Rossi, per seguire la pratica della Falck, la gigantesca opera di recupero e di riconversione delle vecchie acciaierie. Ma il superconsulente non scrisse mai neanche una riga. Quale sia il contributo fornito da Guido Rossi non si è mai saputo. E il motivo dell'incarico, a conti fatti, aveva una sola ragione d'essere: il consulente era amico di Renzo Piano, il grande architetto che ha firmato il progetto edilizio di recupero. Ma perché questi buoni rapporti dovessero comportare una spesa da parte del comune di Sesto di 180mila euro resta misterioso. Per questo il direttore generale del comune, Marco Bertoli, è stato condannato dalla Corte dei conti a restituire quasi per intero (165mila euro) le somme elargite a Guido Rossi senza motivo.
La vicenda che porta a Rossi è un filone laterale della vicenda dell'area Falck, salita alle cronache per le robuste stecche che i vecchi proprietari dell'area dovettero versare all'ex sindaco Filippo Penati (il processo a carico dell'esponente del Pd è stato dichiarato prescritto il mese scorso, e a tutt'oggi Penati non ha depositato il ricorso contro la prescrizione, che pure aveva annunciato). Ed è analizzando l'iter della pratica Falck che è saltata fuori la vicenda della consulenza a Rossi, deliberata dal comune sestese nel marzo 2007 per la durata di un anno, e rinnovata nel 2008 e nel 2010, ogni volta per sessantamila euro, la metà dei quali pagati anticipatamente. Solo il quarto rinnovo, varato nel 2011, si fermò a metà strada: nell'agosto 2011, un mese dopo che era esplosa l'inchiesta su Penati, Rossi scrisse al Comune di avere «constatato una mancanza di fiducia nel suo operato», rinunciando all'incarico e al compenso dell'ultimo anno.
Ma ora la Corte dei conti chiede che vengano restituiti all'erario anche i compensi degli anni precedenti: non da Rossi, ma dal dirigente che gli firmò l'incarico. Secondo l'atto d'accusa, Rossi «per tutto il periodo dei vari incarichi, non ha prodotto alcun elaborato e/o relazione, neppure sintetica»; oltretutto l'incarico era un doppione di quello affidato alla società di consulenza Price Waterhouse e Deloitte, che Rossi avrebbe dovuto rianalizzare, ma anche su questo versante «dei pareri tecnici del consulente non vi è traccia alcuna»; e le uniche attività accertate di Rossi non avrebbero avuto nulla a che fare con la consulenza, perché consistettero nella «moral suasion sull'architetto Renzo Piano progettista dell'operatore privato (che voleva ritirarsi dal progetto), e i rapporti con Banca Intesa, finanziatore dell'operatore privato», cioè del gruppo Risanamento, proprietario delle aree. «L'unico aspetto di assoluta chiarezza e puntualità è consistito nel compenso pattuito e nella dettagliata modalità di sua corresponsione», scrivono i giudici contabili.

E dell'unico elaborato di Rossi, una lettera al sindaco Giorgio Oldrini, la Corte dice che «con tutto il rispetto dovuto al consulente, la cui preparazione e il cui prestigio sono indiscutibili, il documento desta sconcerto per la palese mancanza di un reale contenuto estimativo».

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