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Berlusconi: "Dalla Consulta atto di guerra, per me un trattamento infame"

Tensione con il Colle: tra Palazzo Grazioli e il Quirinale i telefoni tacciono, zero contatti. Ma qualunque decisione sull'esecutivo il Cavaliere è chiaro: deve essere ponderata. E arriverà non prima di luglio

Berlusconi: "Dalla Consulta atto di guerra, per me un trattamento infame"

Di certo c'è che da ieri quel pizzico di fiducia che ancora riponeva nel Quirinale è andata a farsi benedire. Perché a leggere e rileggere le argomentazioni tranchant con cui la Consulta ha bocciato il ricorso sul processo Mediaset Berlusconi ha parlato senza troppi giri di parole di «trattamento infame». La delusione non è solo per il «no» dei giudici costituzionali, ma pure per la durezza delle motivazioni, un vero e proprio «ceffone» con buona pace delle rassicurazioni avute in questi giorni da Napolitano. Che, come accadde nel 2009 in occasione della bocciatura del lodo Alfano, aveva lasciato intendere di aver fatto valere la sua moral suasion, tanto che il vicepremier Alfano o il ministro Quagliariello davano per scontato un esito migliore.

Ed è questa la «sfumatura» che non è piaciuta al Cavaliere: non solo la Consulta ha detto «no» ma l'ha pure fatto in maniera categorica. E che la Corte Costituzionale sia un organo quantomeno «sensibile» alle vicende politiche non è certo un mistero. Insomma, se i giudici costituzionali sono stati così netti – sono le considerazioni che fa Berlusconi nel day after – una ragione ci sarà. Soprattutto, insiste l'ex premier nelle sue conversazioni private, dopo che «ho sollecitato le larghe intese per il bene del Paese» e «ho garantito la vita e la stabilità del governo». «Ecco la moneta con cui mi hanno ripagato», dice in privato. Quello della Consulta, insomma, «è un atto di guerra e come tale va preso».
Tutti ragionamenti che il Cavaliere fa in privato e con i collaboratori più stretti, mentre pubblicamente continua a ripetere che il sostegno all'esecutivo non è assolutamente in discussione. E in effetti Berlusconi si limita ad ascoltare chi nella riunione notturna di Palazzo Grazioli ipotizza strappi drammatici, ma mai arriva a dire che il governo deve saltare. Che poi è la linea dei cosiddetti falchi, ribadita ieri da Verdini, Santanché e Capezzone («Silvio ti stanno ammazzando, te lo diciamo da tempo»). Anche se mercoledì sera persino le cosiddette colombe - i «governativi» Alfano, Lupi, Quagliariello e De Girolamo - non erano affatto per la linea soft.

Sul punto, però, Berlusconi è chiaro: «Niente gesti inconsulti». Qualunque decisione, insomma, deve essere ponderata. E arriverà non prima di luglio. La prossima settimana, infatti, ci sarà la sentenza di primo grado di Ruby (a Palazzo Grazioli danno per scontata la condanna), mentre giovedì inizierà l'udienza preliminare sulla presunta corruzione del senatore De Gregorio. E sempre giovedì riprende in Cassazione il lodo Mondadori, anche se la sentenza definitiva sui 560 milioni da versare a De Benedetti non dovrebbe arrivare prima di un mese. Il 9 luglio, invece, la giunta del Senato si pronuncia sull'eventuale ineleggibilità del Cavaliere.

Solo dopo quella data potrebbero esserci scossoni. E così fosse la partita Berlusconi la giocherebbe tutta sui temi economici. È su Imu, blocco dell'Iva e guerra all'austerity imposta dall'Ue che il Pdl alzerà infatti il tiro. Tutte questioni, spiegava ieri l'ex premier ai suoi interlocutori, su cui «ho preso un impegno chiaro con i miei dieci milioni di elettori». Un concetto ripetuto anche durante il pranzo con Alfano a cui Berlusconi fa capire di non aver gradito il silenzio di Letta sulla vicenda. Non che si aspettasse una difesa lancia in resta, ma magari una parola di solidarietà sì. Letta zio, invece, la giornata la passa a cercare di ricucire con il Quirinale.

Senza troppo successo se i due – Berlusconi e Napolitano - ancora ieri non si erano sentiti e pare non abbiano in programma di farlo.

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