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La Consulta boccia Monti: addio taglio delle Province

La Corte costituzionale dichiara illegittimo il riordino. Su risparmi e privatizzazioni. Saccomanni tira il freno: "La ripresa c'è, ma i margini di manovra restano limitati"

La Consulta boccia Monti: addio taglio delle Province

Roma - La Consulta boccia il taglio delle Province. Ieri la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della riforma delle Province contenuta nel decreto Salva Italia di Monti e il loro riordino, che ne prevede la riduzione in base ai criteri di estensione e popolazione. Non è materia da disciplinare con decreto legge, hanno stabilito i giudici costituzionali.
Intanto Saccomanni va in commissione. Si vede la luce alla fine del tunnel «e non è il treno che ci viene contro». Ma sulle riforme strutturali, calma e gesso. Freno a mano tirato sulle privatizzazioni, tanto che sarà difficile centrare l'obiettivo di cessioni un punto di Pil all'anno. Cautela anche sui tagli alla spesa pubblica, per i quali serve una «ampia riflessione di natura politica». Prova del fuoco per il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni, sentito ieri dalle commissioni Bilancio di Camera e Senato per fare il punto sullo stato dei conti. Forte delle notizie che arrivano da Bruxelles, il responsabile di Via XX settembre ha puntato molto sull'ottimismo. Ma non ha preso impegni troppo stringenti. «Ci attendiamo - ha assicurato - che nei prossimi mesi l'andamento dell'attività economica mostri segni di miglioramento. L'azione che il governo vuole effettuare nei prossimi mesi con il sostegno del Parlamento è cruciale». Saccomanni assicura che l'esecutivo letta procederà con «il rafforzamento delle riforme strutturali».
Ma su quelli che dovrebbero essere due cardini di un cambio di marcia, privatizzazioni e tagli alla spesa, frena. Sul secondo capitolo, assicura che ci sono «ampi margini per la razionalizzazione della spesa». Ma quando snocciola le cifre, fa capire che restano solo briciole. Dal 2010 la spesa primaria (al netto degli interessi) si è ridotta di quasi 4 punti percentuali. Bisogna continuare, ma «occorre tenere presente che nel brevissimo termine molte voci di spesa sono rigide e non possono essere modificate». Senza contare che «la realizzazione di risparmi di spesa in molti comparti richiede un'ampia riflessione, anche di natura politica. Nel breve termine i margini sono dunque molto limitati».
Dei 726,7 miliardi di spesa al netto di quella per interessi, il ministro indica poche decine di miliardi. Anche perché il 60%, al netto di quella previdenziale, riguarda le autonomie locali. Se si vuole incidere più a fondo, serve «un significativo ripensamento del funzionamento della macchina pubblica». Se ne riparlerà nei prossimi anni, insomma. Altra montagna da scalare, quella delle privatizzazioni. Anche in questo caso il governo ragiona sul medio-lungo termine ed è consapevole che alcuni impegni già presi non saranno rispettati. «Nel Def per il 2013 gli impegni programmati di riduzione del rapporto scontano dismissioni per circa un punto percentuale del Pil all'anno; per il 2013, date anche le condizioni congiunturali, l'importo delle dismissioni risulterà modesto», ha spiegato. Comunque resta la volontà di «attuare politiche di valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, sia immobiliare sia delle partecipazioni». Per il resto il ministro ha ribadito l'intenzione di verificare la possibilità di anticipare al 2013 il pagamento dei 40 miliardi di debiti della pubblica amministrazione, riconoscendo che avrebbe un effetto positivo sul gettito Iva. Apertura apprezzata ancora una volta dal Pdl, che martedì aveva proposto l'anticipo di sei mesi del saldo.

«Spero che l'auspicio espresso dal ministro possa divenire al più presto un suo impegno concreto e poi una realtà», commenta Capezzone.

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