Politica

Contro Calabresi o pro-Bersani Tornano i talebani della firma

A 40 anni dal linciaggio del commissario, intellettuali come Eco e De Mauro non rinunciano a mettere il nome in calce a petizioni rigorosamente filo-sinistra

Umberto Eco
Umberto Eco

Rieccoli. Infaticabili. È quarant'anni e passa che firmano appelli. Potevano mancare questa volta? Pier Luigi Bersani non vede l'ora di smacchiare il giaguaro, il centrosinistra sente profumo di vittoria e loro continuano a mettere il proprio nome, nobilissimo ma un tantino usurato, in fondo a densi volantini che riecheggiano sempre gli stessi contenuti: se vincono i progressisti il Paese si salva, altrimenti il Mar Rosso si apre e andiamo tutti sott'acqua. Umberto Eco e Tullio De Mauro non si sono persi nemmeno questa chiamata, arrivata online dai postcompagni dell'Unità. C'erano già nel lontanissimo 1971 quando misero la loro faccia sul manifesto, affollatissimo, con cui gli intellettuali italiani deliravano indignandosi contro il povero commissario Luigi Calabresi, ritenuto a furor di popolo l'assassino dell'anarchico Giuseppe Pinelli. Allora esordirono con quella prova, a dir poco imbarazzante. I cattedratici nel nostro Paese hanno sempre preso grandi abbagli e i loro altisonanti pareri pesano nei salotti, ma si sgonfiano dentro le urne. Solo che quella volta finì in tragedia: Calabresi, abbandonato da tutti, fu ammazzato come un cane il 17 maggio 1972 e nei decenni successivi sì e no un paio di persone hanno chiesto scusa ai familiari per quell'incredibile e vergognosa campagna di linciaggio.
Pazienza. Il mondo è cambiato, i calcinacci del Muro sono crollati sulle teste dei pensatori, il Partito comunista ha cambiato una sfilza di nomi, la sinistra è sempre alla caccia di architetti, artisti, scrittori, giuristi, comici pronti a mobilitarsi e a sventolare il turibolo delle sue virtù e delle ragioni per cui non si può non pendere da quella parte. Come e più della Torre di Pisa. Nel 1971 Eco era una promessa della narrativa, della saggistica e di tante altre cose. Promesse tutte mantenute, intendiamoci, e alla grande. Anche De Mauro, linguista di valore e ministro di passaggio, occupa una posizione importante nella piramide della cultura tricolore.
Il problema è che sono sempre lì, pronti a spendersi per scritti vagamente apocalittici sui destini del nostro Paese. Anche se il tempo è passato e niente è come prima ma tutto, per loro, è come allora. Una foresta pietrificata. «Due scenari inquietanti - si legge nell'appello- si profilano come possibili all'esito del voto: o il caos ingovernabile o il ritorno al potere di uomini e di forze che negli anni passati hanno già portato il Paese verso la catastrofe...». Dunque, o Bersani o morte. Anzi, Grecia: «Se nei prossimi cinque anni non saremo in grado di restituire dignità alle istituzioni… ci troveremo, come altre nazioni europee, nel baratro». Insomma, o rosso o nero, secondo il solito vangelo manicheo.
Nel coro cantano fra gli altri, oltre agli eterni Eco e De Mauro, pezzi da novanta del firmamento culturale come Gustavo Zagrebelsky e Andrea Camilleri e poi Stefano Rodotà e Sandra Bonsanti, presidente dell'associazione Libertà e giustizia. Grafomani, senza offesa, anche loro. Nel 2009, per esempio, Zagrebelsky, Bonsanti, Camilleri e Rodotà erano scesi in campo, con la solita lenzuolata, in difesa di Repubblica e della libertà di stampa oscurata dal semidittatore di Arcore che aveva minacciato querela dopo aver letto, riletto e ri-riletto sul quotidiano fondato da Eugenio Scalfari le famose, martellanti dieci domande a lui rivolte. E pure in quell'occasione Eco aveva timbrato contro tutte le ossessioni di quel mondo. Il bavaglio, la censura, la deriva autoritaria. La storia recente d'Italia è tutta un appello, contro Berlusconi o un'autostrada non fa poi tanta differenza.

E i reduci delle precedenti preghiere sono i battistrada delle battaglie che seguono. Non si smette mai. Semmai si è passati dalla stilografica all'e-mail.
Ma non sarebbe male, qualche volta, fra un'emergenza democratica e uno squillo di trombe, far riposare la mano ormai stanca.

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