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Così il vino novello rischia di diventare una vecchia moda

Il feeling con i consumatori si è interrotto. Le ragioni: gusti cambiati e costi troppo elevati

Così il vino novello rischia di diventare una vecchia moda

Aiuto, mi è scomparso il Novello. O quasi. Il vino da macerazione carbonica e dalla vita organolettica brevissima (va consumato entro pochi mesi dalla commercializzazione) ha infatti perso tutto il suo appeal per i consumatori. Le cifre sono impietose: se nel 2006 se ne producevano 18 milioni di bottiglie, quest'anno ne sono stati imbottigliate solo 4 milioni. Un crollo del 77 per cento o giù di lì. E questo malgrado il ministero per le Politiche agricole abbia anticipato al 30 ottobre l'immissione sul mercato del vino d'autunno rispetto alla tradizionale data del 6 novembre e abbia semplificato e reso più coerente la normativa che lo riguarda.

Ma un prodotto come il vino non può essere certo rianimato per decreto. E così il Novello agonizza nel disinteresse dei produttori, che ne fanno poco e con poca convinzione, e dei consumatori, che non sembrano patirne la latitanza. E siamo al quesito fondamentale: sono i bevitori italiani che, dopo una fase di entusiasmo, hanno abbandonato il vino d'autunno perché insoddisfatti di una proposta spesso scadente? Oppure sono le aziende ad aver abbassato l'asticella non avendo un'adeguata risposta da parte del pubblico?

Probabilmente la risposta è a metà strada. Non sono motivati gli appassionati ad acquistarne e i marchi a farne. E sì che una decina di anni fa questa tipologia di vino «copiata» al francese Beaujolais prodotto con una tecnica diversa da quella tradizionale (l'uva non viene pigiata ma macera per una decina di giorni in un contenitore con anidride carbonica, in modo che solo una parte degli zuccheri si trasformino in alcol), portata in Italia dal grande enologo Giacomo Tachis e regolamentata per legge per la prima volta nel 1989 conobbe la sua epoca d'oro. Novello era bello. La sua uscita era «calendarizzata» come un rito di passaggio da una stagione all'altra, dalla non più estate al non ancora inverno. In quegli anni l'idea era che il Novello costituisse l'entry level al mondo del vino, perfetto per un pubblico giovane e femminile, attratto dal basso costo, dai profumi netti e floreali, dal gusto semplice e poco o affatto tannico, dalla possibilità di berlo senza le respingenti liturgie e il cipiglio riservati all'etichetta blasonata, dagli abbinamenti gastronomici elettivi con prodotti di stagione come le castagne, dall'attitudine allegra, dalle tante feste e sagre organizzate in ogni dove. Una di queste si chiamava «Benvenuto Novello!». Oggi al massimo si chiamerebbe: «Toh, chi si rivede! Il Novello».

Un po' è che oggi viviamo giorni pochissimo spensierati. Un po' è che quel pubblico immaginato di novizi del vino si è stancato; oppure si è fatto sedurre dalla più modaiola e virile birra, magari artigianale; oppure si è appassionato ed è passato a livelli più avanzati secondo il cursus honorum dell'enofilo. E gli appassionati veri o presunti del nettare di Bacco il Novello non lo hanno amato nemmeno negli anni ruggenti, guardandolo con lo stesso disprezzo riservato ai cosiddetti popcoholics.

Da un punto di vista produttivo il Novello è stato forse penalizzato proprio dalla ricchezza del vigneto Italia, quella varietà di vitigni che fa la forza del made in Italy nel calice. Che però nella produzione di un vinello semplice e di facile beva confonde soltanto le idee: che senso ha vantare nell'etichetta l'utilizzo di Barbera, Sangiovese, Teroldego, Aglianico, Cabernet Sauvignon, Marzemino, Primitivo, Nero d'Avola, Refosco, Cannonau, Montepulciano per un liquido che al naso e in bocca non conserverà se non in minima parte le caratteristiche varietali delle varie uve? Non solo: la legislazione italiana consente di utilizzare nella produzione di Novello solo di una parte di uva sottoposta a macerazione carbonica (prima il 30 per cento, ora il 40). Ciò vuol dire che per il resto le aziende sono autorizzate e smerciare in questo modo vini di annate precedenti rimasti in cantina e rifermentati per l'occasione. Inutile dire che poi il vino nel bicchiere non sarà fragrante e profumato come dovrebbe essere. Qualcuno invoca la Rifondazione Novellista: produrne magari meno ma più buono, imporre per legge la macerazione carbonica al cento per cento e tornare a considerarlo un vino di Serie A se non proprio da Champions. Qualcun altro invece ne auspica l'eutanasia.

Chi vincerà? Nel frattempo, cin cin.

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