Cronache

Così il web detta legge anche sulla privacy

Il modulo messo on line controvoglia dal motore di ricerca ha tanto il sapore di una soluzione borbonica, una specie di "ammuina" per fare contenti (e fessi) noi utenti e la Corte europea

Sono ancora tanti gli italiani, e gli europei in generale, che faticano a capire il mondo digitale. Ma i re di quel mondo, i magnati di Google, hanno capito benissimo gli europei. Il modulo messo on line controvoglia dal motore di ricerca ha tanto il sapore di una soluzione borbonica, una specie di «ammuina» per fare contenti (e fessi) noi utenti e la Corte europea. Una delle aziende più avanzate al mondo, forse la più grande fucina di innovazioni tecnologiche della nostra era, al momento di concedere graziosamente all'utente l'esercizio del diritto di «scomparire» dalla memoria digitale si trasforma all'improvviso nell'ufficio anagrafe del più arretrato dei nostri municipi. A Google basta che tu sia titolare di un indirizzo mail per darti accesso a uno qualunque dei suoi servizi in un secondo. Avete mai dialogato, sia pure via mail, con un impiegato di Google? Non capita mai, perché tutto il sistema è costruito per essere automatizzato. È significativo che invece, in questo caso, «Big G» specifichi che a occuparsi delle richieste sarà un team «umano». Ma non è tutto: per esercitare il diritto all'oblio, non basta certo un click.

Bisogna riempire un modulo, come se si fosse allo sportello della cancelleria di un tribunale, fornire le copie digitali di un documento, riempire un modulo per ogni link che si chiede di rimuovere dalla memoria elettronica del web. In più la domanda va corredata da firma digitale, un sistema di autenticazione usato da aziende e professionisti con particolari esigenze legali, ma praticamente sconosciuto alla massa degli internauti. Ma attenzione, non è solo un'altra noia burocratica. È evidente che Google mal digerisce l'obbligo di cancellare i nostri errori di gioventù o magari notizie false messe in circolazione con intenzioni malevole per rovinarci la reputazione. E allora ha usato la tipica tecnica della burocrazia italiana: scoraggiare il cittadino con ostacoli procedurali. Tanto più che le domande non saranno accolte in automatico come le richieste di aprire un blog o un profilo su «Google +» (per quelle al massimo ci chiedono la carta di credito): saranno vagliate caso per caso. E così Google si erge a tribunale che pontifica su un tema delicatissimo: dove si ferma il diritto alla privacy e all'oblio e dove inizia il diritto all'informazione. Del resto la memoria del web è ancora più lunga e duratura di quella di Google. Non tutti sanno che esistono dei «web archives» che conservano anche molte pagine «morte» del web. Chi sa come consultarli può ritrovare anche le memorie sgradite e rimetterle in circolo. La foto osé messa in Rete dall'ex vendicativo, la calunnia degli anonimi urlatori della Rete: l'oblio è un diritto sacrosanto. Ma il web lo rende una chimera.

È bene pensarci ogni volta che si «condivide» un pezzo di noi stessi.

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