Cronache

Dai proiettili alla polenta Quanti dubbi e forzature nelle carte dei magistrati

Nelle intercettazioni che hanno portato all'arresto dei 24 Serenissimi dialoghi farsa e pochi indizi. Così "il tessuto per le tende"  per i giudici è la stoffa per cucire le uniformi

Dai proiettili alla polenta Quanti dubbi e forzature nelle carte dei magistrati

A farle le pulci riga per riga, l'ordinanza di cattura che l'altro ieri ha spedito in galera ventidue «Serenissimi» e altri due ai domiciliari, ha le pecche di tanti documenti del genere: perché alcuni passaggi decisivi sono un po' tirati via, e insieme a tante intercettazioni inequivocabili, solide testimonianze dei fumi che annebbiavano le teste degli arrestati, ce ne sono altre interpretate con una certa libertà. Magari quando Tiziano Lanza dice «noi siamo gente che ha la passione della bega», è anche possibile che per bega intenda davvero il cannone del famoso «tanko», e che di conseguenza le «beghette» di cui si parla subito dopo siano le pistole che la banda cercava di procurarsi. Ma quando Enrico Bonazzi avvisa Patrizia Badii «domani mi dovrebbe arrivare il tessuto per le tue tende», non è chiaro perché il giudice dia per scontato che si tratti in realtà di stoffa per uniformi. E quando Luigi Faccia, il veterano del «tanko» del 1997, dice a Roberto Abeni «adesso ne ha fatte dieci in un colpo solo», quali indizi portano il giudice a dare per scontato che «le ultime frasi si riferiscono a Cattaneo Michele e alle munizioni per i carri»? Anche perché fino a un istante prima Faccia e Abeni parlavano di tutt'altro, programmi tv, petizioni da firmare, eccetera.
Dettagli, si badi. Anche perché sono sparsi in una montagna di chiacchiere dal senso così palese da risultare grottesco, come quando Faccia racconta a Lanza del «discorso balistico» «abbiamo smontato i proiettili, abbiamo tagliato le capsule, abbiamo fatto una carica leggera prima ed abbiamo aperto il fuoco.... non c'è stato nessun botto ma solo una grande fiammata. però nel frattempo abbiamo preparato una seconda carica, l'abbiamo pressata maggiormente... è partita una stecca che ha tremato il capannone». Che tra una bevuta in osteria e un giuramento a San Marco alcuni degli arrestati giocassero col fuoco, insomma, sarà difficile negarlo negli interrogatori che iniziano in questi giorni.
Dove l'ordinanza di custodia firmata dal giudice Enrico Ceravone dovrà affrontare gli attacchi maggiori dalle difese è però nel passaggio cruciale, l'accusa di associazione terrorista con finalità eversive. È la stessa accusa che venne mossa nel 1997 ai protagonisti dello sbarco a San Marco, e che cadde in tribunale, come ricorda lo stesso giudice Ceravone, perché si assodò che mancava la «effettiva idoneità della condotta a mettere in pericolo l'ordine costituzionale e democratico dello Stato».
Stavolta però, scrive il giudice, il pericolo che lo Stato crollasse c'era davvero. Anche se l'ordinanza pullula di casi clamorosi di disorganizzazione, di appuntamenti mancati, di capi che si dimenticano la patente a casa, di gregarie che sparano balle come quelle sui contatti su Zaia, di deliri sull'intervento dell'Onu che «può fare qualche pressione», l'insurrezione poteva avere successo. Nell'ordinanza si parla testualmente di «concreta idoneità dell'organizzazione a perseguire e attuare il programma» della secessione, «perseguendo l'instaurazione di un regime autoritario-militare di transizione sui territori liberati e prefigurando contatti diplomatici con Stati confinanti alla ricerca del riconoscimento della nuova realtà statuale». Ma gli indizi che lo Stato italiano fosse pronto a dissolversi sotto l'avanzata dei dieci «tanki», poi tristemente ridotti a due per difficoltà di bilancio, nel testo dell'ordinanza non si trovano. E l'unico riferimento al riconoscimento da paesi confinanti (se vogliamo escludere una improbabile ospitalità della Svizzera, di cui pure gli insorti cianciano) la si trova quando Lanza strologa sui contatti con la Serbia, che proprio confinante peraltro non è, spiegando che i rapporti col primo ministro serbo li ha creati «la Lidia, una mezza croata di Milano».
In qualche modo, ne sembrano consapevoli anche loro, gli indagati: che del rischio di andare a finire come nel film di Ugo Tognazzi, Vogliamo i colonnelli, parlano in una intercettazione. E d'altronde alle microspie dei carabinieri del Ros, durante i summit, tocca registrare anche questo. Orini: «Ragazzi, io sono stroncato dalla polenta».

Bernardelli: «Dalla polenta? Veramente buona».

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