Politica

Il "consiglio" di Bersani: Matteo non usi la clava

Il day after degli irriducibili. Fioroni: "Marini l'ha presa bene, è sportivo"

L'ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani
L'ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani

Roma - Non si scende da un treno in corsa, tutt'al più si tiene la mano sul freno di sicurezza. Sperando di non doverlo tirare per scendere. Il vero volto dei sopravvissuti al ciclone Matteo - 70 per cento d'intensità alle urne, quasi cento per cento in segreteria - non è quello di Cuperlo, abbattuto sul divanetto del Transatlantico e intento a spiegare ai suoi del perché non conviene alcun tipo di connivenza (convivenza?) con Renzi. Così come non dicono molto del travaglio e del tormento il rancoroso augurio postumo di Rosy Bindi («il successo di Renzi è stato determinato dalla capacità di molti di riciclarsi»), quello barricadero di D'Alema («se necessario, sarà battaglia») o il silenzio-dissenso di Franco Marini («l'ho sentito, sta benissimo, lui è un tipo molto sportivo», racconta Beppe Fioroni che già pone come pregiudiziali il non ingresso nel Pse e l'esclusione di Vendola dalle liste per le Europee).
No, è il volto del giaguaro Bersani a segnare il quadro di riferimento dell'ormai residuale pattuglia dei Resistenti. «Non usi la clava», dice l'ex segretario e si capisce che la voglia di fare politica non è stata sotterrata assieme al tomahawk, e la «Ditta» resta ragione di vita. Anche perché, argomenta Bersani, «la sinistra esiste in natura» e non verrà spazzata via da un arrembante giovanotto. Del quale si può invidiare «la grande verve, la carica d'energia», ma che forse non ha ancora capito come la dote migliore sia sempre l'umiltà. «Ricordare che se sei qui è perché qualcuno ti ha aperto la porta, qualcuno ti ha aperto la strada». Bersani ha voglia di metabolizzare, di confrontarsi, di discutere. Il nuovo segretario, che «s'è caricato d'un peso non indifferente con tutte le aspettative e le cose che dice di voler fare», ora dovrà misurarsi con i fatti. «Dimostrarsi indipendente e autonomo dai potentati di questo Paese come ho fatto io». E saper discutere con un partito «che è abituato a discutere, e non è che può dire di non essere disponibile. Deve e basta».
Tutte le volte che non saremo d'accordo, dice Bersani, lo diremo, lo faremo sapere, «non finisce mica qua...». È la prova del reale, in effetti, quella che manca al cursus honorum del Fiorentino. Provare di saperci fare non a chiacchiere, ma tenendo assieme un partito «diventato unico punto di tenuta del sistema, eppure esposto a pulsioni individualistiche e anarcoidi», come s'è palesato nella voglia di cambiamento e partecipazione delle primarie. «Siamo all'anarchismo cooperativo», scherza Bersani mescolando discorsi sulla legge elettorale alla tenuta del governo, alla dichiarata lealtà. «Noi siam qui, pronti a tirar la carretta, mai c'è stata tanta disponibilità a cooperare... Sempre che si capisca che cosa Renzi voglia fare del partito, e che spazi offra a noialtri, visto che in segreteria sono metà suoi e metà di Franceschini». Veramente anche Fioroni dice di averne infilati due dei suoi, amici sottotraccia che intendono restar tali. «E vuoi vedere che Fioroni è un trotzkista mascherato, un entrista della quarta internazionale e ce l'ha data da bere per tutti questi anni?». È una risata liberatoria, quella di Bersani. Affabile conversatore e, come lo descrisse Montanelli in una dedica indirizzata al suocero, «comunque un bravo ragazzo». Non è detto che lo sarà anche Matteo, però. Le prime mosse accrescono dubbi e dunque la tenuta del Pd si giocherà anche sullo scivoloso terreno dei rapporti personali.

Sempre che il salto generazionale non sia tale da consegnare i separati in casa alla camicia di forza dell'incomunicabilità totale.

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