Politica

Il doppio gioco della Bongiorno: difende Fini e l'azienda di Corallo

L a «barriera Corallina», intesa come «cerchio magico» di amicizia, di lobbismo, protezione e tutela nei confronti del padrone di Bplus-Atlantis, il latitante Francesco Corallo, attinge a piene mani tra gli ex An. Non c'è solo lo storico braccio destro di Gianfranco Fini, Checchino Proietti Cosimi, deputato Fli, al centro di indagini per finanziamenti a lui riferibili ricevuti proprio dalla holding del gioco d'azzardo dell'imprenditore catanese per la quale si attivò nel 2006 - come emerge nelle intercettazioni disposte da Woodcock - facendo pressioni sui Monopoli di Stato. E l'elenco prosegue anche oltre Amedeo Laboccetta, che dopo lo scioglimento di An ha scelto di proseguire l'attività politica sul fronte Cav, ma che fino al 2008 era il rappresentante in Italia del gruppo Atlantis, e che nella perquisizione a casa Corallo è finito indagato per essersi portato via un suo pc, che per gli inquirenti era nella disponibilità di Corallo.
C'è, per esempio, Giancarlo Lanna, avvocato, fino a pochi anni fa presidente della Simest, un passato da vicecoordinatore di An in Campania. Proprio lui nel 2004 fu il procuratore dell'Atlantis per la concessione sulle slot da parte dei Monopoli, e a provare la sua «fede» finiana, c'è l'incarico nel consiglio di fondazione di FareFuturo.
E, restando agli avvocati, ecco la parlamentare di Fli Giulia Bongiorno. Oltre a difendere il suo leader, Gianfranco Fini, la Bongiorno (recentemente nominata portavoce dei «futuristi») è in rapporti - professionali - con l'Atlantis Bplus, di cui difende il «factotum» italiano Alessandro Lamonica, catanese come Corallo, e indagato nell'inchiesta milanese sui finanziamenti alla holding da parte della Bpm di Ponzellini. Una coincidenza curiosa, per quanto legittima, che consente dunque alla Bongiorno di avere accesso agli atti dell'indagine da cui, come è noto, sono recentemente emerse le prove dei rapporti tra il broker protagonista dell'affaire monegasco, James Walfenzao, e i fratelli Elisabetta e Giancarlo Tulliani. La presidente della commissione giustizia della Camera, interpellata dal Giornale, preferisce mantenere il riserbo su come sia arrivata a difendere proprio la holding del gioco: «Scusate, ma non parlo certo della genesi dei miei rapporti professionali, sia che me li abbia passati un cliente, sia che sia stato il mio nome, non proprio ignoto, a richiamarli».
Rispetto alle indiscrezioni di stampa, che a novembre scorso la davano per presente e attiva nella casa romana di Corallo, a controllare il corretto svolgimento della perquisizione, la parlamentare smentisce la circostanza. «Non c'ero, non è lui, Corallo, il mio cliente, anche se faccio parte del pool difensivo che si occupa della Bplus di Corallo». Come avvocato o come politico la Bongiorno negli ultimi due anni è testimone di tutte le tappe decisive dello scandalo di Montecarlo. È lei che presiede alle sempre più frequenti riunioni ristrette dei fedelissimi di Gianfranco Fini convocate per trovare una via disperata d'uscita. È lei che viene incaricata da Fini, a poche ore dallo scoop di Montecarlo, di querelare il direttore Vittorio Feltri. Alla Bongiorno qualcuno attribuisce la «regia» politica e mediatica di resistere, resistere, resistere, al di là di ogni evidenza, e sempre lei avrebbe «collaborato» gomito a gomito con il capo alla stesura delle prime otto risposte sull'affaire.
Secondo un retroscena del Corriere della Sera del 27 settembre 2010, poi, proprio l'avvocato-deputata avrebbe imposto la sua strategia difensiva («dobbiamo dichiarare solo quello che sappiamo») anche ai Tulliani e ai loro legali, che invece volevano che Fini «scagionasse» Giancarlo. Una scelta prudente, basata sulla convinzione che, vista la presenza delle off-shore, non si sarebbe mai risaliti con certezza al proprietario. Forse, proprio questo punto è alla base di quella (imprudente col senno di poi) promessa non mantenuta da Fini, di dimettersi quando fosse stato dimostrato che Tulliani era il padrone di casa. La Bongiorno, per il suo leader, ha anche preparato la rinuncia al lodo Alfano, il beau geste con cui Fini non si sottrasse alla causa per diffamazione nata dalla querela sporta dal pm Woodcock, proprio per commenti di Gianfry sull'inchiesta del pm allora potentino su Vittorio Emanuele e sulle concessioni per le slot. Woodcock gradì, e ritirò la querela. Si affidò all'avvocato Bruno Larosa, che ora difende Francesco Corallo.

Una coincidenza, ovviamente.

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