Politica

E anche Saccomanni è colpevole

Il ministro si è piegato alla linea dell'ente senese

Il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni
Il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni

«La politica non ha nessun peso nelle decisioni della banca perché la funzione di governo va al di là di quella politica e, in ogni caso, si tratta di un ministro tecnico». Il presidente del Monte dei Paschi, Alessandro Profumo, l'ha ripetuto fino allo stremo: lo sforzo dell'attuale management di Mps è stato non solo quello di risanare la banca, ma anche di tenerla al riparo dagli «errori» della politica, quelli che la Fondazione - bloccando l'aumento - ha continuato a ripetere.
Eppure, come si evince dalle parole del banchiere, un convitato di pietra nella battaglia senese c'è e non è di poca rilevanza. È il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni. Non tanto in quanto ex direttore generale di Bankitalia (l'autorità cui compete la sorveglianza del sistema bancario) ai tempi in cui Mps coltivava sogni di grandeur. Soprattutto in quanto titolare del dicastero cui spetta la vigilanza sulle Fondazioni di origine bancaria.
Il silenzio di Via XX Settembre sulla vicenda è stato molto eloquente. Il ministro aveva ben chiaro, infatti, che l'ente presieduto da Antonella Mansi, non potendo seguire l'aumento di capitale ma dovendo vendere le proprie quote, avrebbe sbarrato la strada all'operazione congegnata da Profumo. Eppure non ha mosso un dito consentendo che l'istituto sia lasciato in una situazione di «incertezza» e soprattutto costringendolo a pagare 100 milioni di interessi in più al Tesoro sui Monti-bond, che altrimenti avrebbero potuto essere parzialmente rimborsati. L'unica parola che Saccomanni ha pubblicamente pronunciato in due settimane sulla materia è stato un «no» per sostenere che non era preoccupato della querelle senese.
Saccomanni si è guardato bene dall'esporsi anche quando alcune indiscrezioni riferivano di un piano alternativo della Fondazione Mps, cioè scambiare un 20% della banca con altre Fondazioni bancarie «amiche» come la Cariplo guidata da Giuseppe Guzzetti, che è anche il numero uno dell'Acri, l'associazione delle Fondazioni di origine bancaria. D'altronde, il ministro ha tenuto il medesimo contegno anche nel caso della Fondazione Carige che controlla l'omonima banca genovese. Anche lì servono capitali freschi (800 milioni), anche in Liguria un ente a maggioranza Pd ha scatenato una guerra fratricida con i vertici dell'istituto controllato costringendoli al passo indietro. Niente. Il mondo continua a girare come prima: la politica - quella vera - continua ad avere un ruolo preminente anche nella finanza.
Anche adottando una prospettiva diversa il risultato non cambia. Ipotizziamo che Antonella Mansi sia oggettivamente nel giusto sostenendo che l'aumento di capitale da 3 miliardi di Mps possa tranquillamente effettuarsi a giugno (se non nel secondo semestre). Ipotizziamo che la vicinanza tra un istituto e il suo territorio di riferimento sia un valore da salvaguardare universalmente. Occorre, quindi, domandarsi perché nelle trattative con l'Unione Europea, che hanno portato al via libera condizionato all'aiuto di Stato, queste istanze non siano state ragionevolmente sostenute. Occorre domandarsi perché sia stata accettata una simile accelerazione dell'aumento quando la tedesca Commerzbank vede ancora Berlino tra i suoi soci preminenti dopo il salvataggio. Occorre domandarlo a colui che la trattativa l'ha condotta su mandato di

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