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Ecco come mi preparo a morire a novant'anni

Vittorio Dan Segre: "Ecco come mi preparo a morire a novant'anni"

Ecco come mi preparo a morire a novant'anni

Alla giovane età di 92 anni sono stato colpito da una malattia di nome leucemia acuta. Qualcuno me la qualifica «terminale». Descrizione ridicola non solo per la mia età ma per il fatto che l'unica malattia mortale - per tutti gli esseri viventi - mi sembra essere la vita, che inizia a spegnersi con la concezione.

Se provo il bisogno di parlarne, non è perché si tratti di una esperienza particolare. È perché nella quasi quotidiana denuncia della malasanità italiana esistono in questo Paese esemplari arcipelaghi scientifici e sociali di eccellenza. Zone come il servizio di Assistenza ospedaliera a domicilio dell'Ospedale Molinette di Torino, fondato da un geniale medico torinese di nome professor Fabrizio Fabris nel 1985 (incredibile ma vero) di cui mi chiedo chi se ne ricordi ancora. In barba a tutte le carte bollate e burocrazie che lo soffocano, questo servizio non solo opera egregiamente (ne sono testimone da quasi mezzo anno) ma è oggetto di riconoscimento internazionale e del sostegno della Comunità europea. Ne parlo sia per dovere informativo di giornalista sia perché sono in grado di confrontare questa mia ultima esperienza ospedaliera con quelle fatte in passato per altri malanni anche allora considerati come più o meno curabili.

Il servizio di assistenza medica ospedaliera a domicilio consiste in questo: l'ospedale chiede il consenso scritto del paziente (non dimentichiamoci degli avvocati e di chi cerca un po' di attenzione mediatica) di farlo uscire da una delle tante corsie per farsi curare a casa. Ammesso che non ci sia un caso di masochismo cronico che all'ospedale ci sta bene, in questo modo il paziente o la paziente si ritrova nel proprio letto. Questo equivale (secondo la formula del Talmud) alla riduzione di un sessantesimo della malattia.

Vero o falso, certo è che per qualsiasi sviluppo del suo malanno e in qualsiasi momento può chiamare al telefono il medico responsabile del suo caso senza tema di sentirsi dire che in quel momento lui è occupato con altri malati.

Iniziato il processo di assistenza domiciliare, che stia peggio o meglio il paziente incomincia a ricevere la visita quasi giornaliera di squadre (medico più infermiere) almeno due volte al giorno (nel mio caso ne ho contate 4 trattandosi di esami radiologici e cardiologici con nano apparecchiature portatili da viaggi interstellari); con trasfusioni di sangue, prese di campioni in provette per esami con risposta in 24 ore. Medicine e medicazioni sono gratuite, il che dovrebbe riconciliare un po' la gente che gode di servizi familiari del genere (ve ne sono parecchi) con l'esattore delle tasse. Per chi ne volesse sapere di più consiglio di leggere L'Ospedalizzazione a domicilio, sorprendentemente scritto in un italiano comprensibile anche per pazienti tonti come me (Vittoria Tibaldi referente, ottenibile alle Molinette tel. 0116334771). Provare per credere.

A questa descrizione di questo servizio geriatrico d'avanguardia mi permetto di aggiungere alcuni commenti personali. Il primo è che questo servizio non solo funziona sette giorni alla settimana ma costa alle finanze pubbliche meno della cura e il mantenimento del paziente all'ospedale. Il senso di sicurezza, di costante accompagnamento competente che offre ai famigliari impegnati in altri obblighi di lavoro o in stato di ansia è notevole.

Il secondo commento lo traggo da una osservazione di André Gide sul rapporto fra medico e paziente in ospedale. Citando a memoria, mi sembra che il succo di quello che Gide sosteneva era che quello che il paziente chiede non è un verdetto sul suo stato di salute, ma delle spiegazioni comprensibili sulla sua malattia. Una risposta non affrettata, data con tono non condiscendente, di conforto, se non di compassione, con una traccia di empatia.

Sono aspettative difficili da essere realizzate per un medico che si occupa del malato in corsia, nella promiscuità di altri pazienti, sotto la continua pressione del tempo che manca. Del resto l'Università ha preparato il medico a far fronte a molte evenienze, ma non a questo. Anzi, lo ha messo in guardia a non lasciarsi coinvolgere troppo col malato.

I medici vestono camici bianchi non solo come obbligo professionale ma come uniforme e paravento (forse per questo si ammalano meno) fra il mondo dei sani e dei malati. Spesso nella corsia dell'ospedale il dialogo fra medico e paziente diventa un dialogo fra sordi, che fingono di capirsi usando linguaggi differenti. Queste domande del malato spesso insoddisfatte ricevono risposte più spesso nel servizio di assistenza a domicilio, nella familiarità che si sviluppa inevitabilmente fra le parti. Credo sia un aspetto importante della cura soprattutto per i pazienti anziani che hanno gran bisogno del dialogo e soffrono dell'isolamento. Ve ne potrebbe essere anche un altro. La mente di molte persone anziane e pensionate non coincide necessariamente con una età che spesso li relega allo stato di spazzatura famigliare o sociale. Molti posseggono esperienze di vita e di lavoro che possono ancora essere utilizzabili - attraverso un disegno, una annotazione di diario, di un brano di poesia mandato a memoria - con una conversazione con un nipote, con un tentativo di umanizzare il gatto o il cane. Fare, aiutare a vivere nel presente, non è cosa sempre facile per un anziano all'ospedale (dove la prassi nel personale sembra essere quella di urlarsi istruzioni, nomi di film o date di ferie, a distanze ravvicinate come se quasi tutti i degenti fossero sordi). Rappresenta quel guizzo di vita che impedisce al vecchio di trasformarsi in vittima e peso sociale.

Nel servizio di assistenza a domicilio questo non è scritto nei protocolli di lavoro. Si sviluppa spontaneamente fra le parti, arricchendole entrambe. Può anche offrire un campo di ricerca scientifica, medica, sociale, psicologica che va ben oltre l'interesse della raccolta di dati statistici o economici.

È una assistenza che può diventare una offerta di reciproco «lavoro» in quel mercato oggi sempre più carente che si chiama umanità.

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