Politica

Ecco perché ora possiamo perdonare Berlusconi

La sua leadership convince, è senza complessi, competente nel fornire e organizzare dati. Come quella dei presidenti Usa alle convention

Tutti sanno che io ho criticato aspramente Berlusconi sia per l'amicizia con Putin (che specie dopo le Pussy Riot spedite nel gulag mi sembra insostenibile) sia per la leggerezza maldestra con cui ha permesso che il suo stile di vita privato diventasse pubblico e si trasformasse in munizionamento quotidiano dei galeoni della sinistra. Ma ormai cosa fatta capo ha e amen. Adesso siamo al dopo.

E dopo aver visto il più grande show mediatico degli ultimi vent'anni - Berlusconi contro tutti, tenendo testa a tutti e ridurli quasi sempre al silenzio - mi sono reso conto che ancora una volta l'unico leader nazionale capace di esercitare una leadership carismatica è lui e non ce n'è altri. Monti ha avuto buon gioco ad entusiasmare il campo antiberlusconiano finché reggeva l'idea del confronto fra stili perbenisti, minimalismo contro iperbole. Poi però anche quel confronto si è impallidito ed è ora poco più che una curiosità.

Ho ascoltato ieri mattina a Radio Anch'io il meglio di Bersani in diretta e, francamente, dopo tante rassicurazioni ispirate a un comunismo tecnico e senza pulsioni di scuola emiliana tra Ferrini e Crozza (con dentro l'uovo vendoliano) sono stato colto da sonnolenza mentre guidavo e ho dovuto spegnere. Quel che è troppo ti manda in coma profondo e puoi finire nella cunetta.

C'è un fatto che avevo già notato da Vespa e in altre trasmissioni in cui il Cavaliere si era presentato: nessuno riesce a salire sul ring con lui e tenergli testa. Ho visto colleghi, benché ricoprissero ruoli giornalistici rilevanti fra cui il direttore dell'Unità, arrivare a belare, fare spallucce come signorine imbronciate, obiettare monosillabi incomprensibili col sopracciglio levato, ma incapaci di fronteggiare il loro avversario: comparse da tappezzeria. Tanto che uno dice: va bene, Berlusconi è invadente ma bravo, non molla l'osso e sciorina dati, piazza colpi sopra e sotto la cintura, ma è possibile che non si trovi mai davanti a qualcuno capace di stargli di fronte con la schiena dritta, capace di ribattere cifre, argomenti, contestazioni, come si usa nelle patrie democratiche dell'Occidente? Dei lemuri.

Poi, finalmente, arriva Santoro. Caspita, tutt'altra musica: la filibusta schierata con tutti i velacci e controvelacci, ramponi da abbordaggio, filmati e corsivi, trappole e giri di chiglia, un altro mondo. C'era il capitano e il cannoniere, la ciurma e le sirene, la santabarbara fornita a dovere e, quanto a tensione, molti barili di rum. E allora si è capito che quello era finalmente il ring, quello era il match, è lì che gli scommettitori della City vanno ai botteghini con rotoli di banconote e la lattina di birra in tasca.

Il duello è stato combattuto all'ultimo sangue fino alla fine e lì si è visto finalmente il Cavaliere darne e prenderne, mettere al tappeto e rialzarsi, rispondere di fioretto e di pugnale, fino al numero che ha fatto incazzare come una belva Santoro, e cioè quello sulle condanne di Travaglio. A me piace Travaglio perché è un altro che sa stare sul ring, ma anche lui generalmente ci sta da solo e se la canta e se la suona indisturbato, con raffinata strafottente eleganza, che però non prevede contraddittorio.

Berlusconi ha reso a Travaglio la pariglia: gli ha letto la lista delle sue condanne, lunga come un serpente a sonagli e Santoro ha perso la testa, si è messo a strillare che ogni buon giornalista ha molte condanne per diffamazione, praticamente un blasone, il che non è assolutamente vero, anche se alcune condanne capitano a ciascuno di noi, ma come eccezioni, a meno che tu non sia un direttore e paghi per le castronerie scritte dagli altri.

Politicamente Berlusconi ha segnato un punto vincente in assoluto quando è riuscito a spiegare agli italiani perché questo Paese è ingovernabile con l'attuale Costituzione e poi quando ha retto botta a tutte le bordate che gli sono state portate senza risparmio di munizioni. Anch'io ero sempre rimasto imbarazzato dal noto filmato della telefonata davanti alla Merkel stordita e incredula. Ma giovedì sera abbiamo avuto, assieme al filmato, la spiegazione di quella chiamata al turco che Berlusconi stava tentando di convincere a nome di tutti e di cui tutti, Merkel inclusa, aspettavano con trepidazione l'esito. Ed ecco che lo stesso filmato, le stesse facce, le stesse smorfie, assumono tutt'altro significato. Berlusconi mi è sembrato semmai glissare sulla storia, sostenuta da Tremonti, della lettera europea fatta confezionare a Roma per fotterlo. Lo spettatore ha avuto l'impressione che ci fosse qualcosa di vero.

Ma poi è stato lui, Berlusconi, a far andare in bestia Santoro, senza perdere la trebisonda. Poco mancava che Santoro lasciasse la propria trasmissione avendo perso il controllo dei nervi. E colgo l'occasione per dire che il Santoro dell'altra sera è stato il miglior Santoro che abbia visto: astuto, ben preparato, ipnotico, velenoso con calma, le idee chiare sul filo conduttore, ma con la presunzione di poter dirigere anche lo spartito suonato da Berlusconi, il che era impensabile.

Ma ciò che è emerso, ciò che ha convinto, ciò che certamente porterà nuovi punti al Cavaliere (tutta l'Italia era incollata su La7 che non ha mai visto tanti spettatori per un talk show) è la sua leadership politica unica: unica perché senza complessi, competente nel fornire e organizzare dati, scattante nelle risposte, pervasa da folate di umorismo un po' sadico e ben funzionante, insomma convincente. Io ho visto e sentito persone che odiano Berlusconi, che fingono il malore e la nausea solo a sentire il suo nome, riconoscere che «quello ha una marcia in più», «ha sempre una risposta a tutto», «è uno con due palle così». Se non fosse stato questo l'effetto di Berlusconi da Santoro, non si sarebbero accalcati su una rete minore quasi dieci milioni di italiani.

Qui c'è poco da discutere: se come mattatore unico Berlusconi domina la scena, poi da lottatore unico messo in mezzo da una intera gang sembrava uno di quei supereroi da fumetto giapponese che calciano e mollano cazzotti piroettando nell'aria e camminando sui soffitti.

Ma la leadership che ha saputo dimostrare va molto oltre il match: si è trattato di una esibizione di vera leadership politica, quel tipo di leadership che i presidenti americani come Bill Clinton (il miglior oratore americano) sciorinano alle convention quando vincono e poi per una vita vendono alle università di tutto il mondo.

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