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Ecco il piano Nordio svuota-carceri: caserme dismesse per i reati più lievi

Il ministro alle Vallette di Torino dopo il suicidio di due donne. Ieri l'ennesimo caso in Calabria: "Garantire umanità: non abbandoniamo nessuno"

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«Ogni suicidio in carcere è un fardello che angoscia ogni volta», ma «lo Stato non abbandona nessuno». Il ministro della Giustizia Carlo Nordio sceglie di andare a Torino, nel carcere delle Vallette, il giorno dopo la morte di due detenute per «prendere atto della sofferenza in cui si trova questo carcere come molte altre carceri italiane». E nelle stesse ore un altro detenuto di 44 anni è stato trovato morto nella sua cella a Rossano, Calabria. Anche lui si sarebbe tolto la vita. È il 47esimo caso del 2023. Sono state aperte due inchieste per fare luce sulla dinamica dei suicidi, ma le morti impongono la riflessione politica del ministro su un tema, la condizione delle carceri italiane, su cui rivendica una sensibilità maturata da ex pubblico ministero. Nelle sue linee programmatiche aveva già indicato la necessità della modernizzazione del sistema carcerario e di pene alternative. Ora annuncia le priorità: recuperare strutture dismesse del demanio, trasferirvi i detenuti per reati minori, e potenziare l'organico della polizia penitenziaria. Su tutto, ricorda, «bisogna garantire l'umanità del detenuto e il trattamento rieducativo». Il Guardasigilli arriva ieri mattina nel carcere delle Vallette di Torino, visita il reparto femminile dove erano detenute Susan John, 43 anni, che è lasciata morire rifiutando alimentazione e cure, e Azzurra Campari, 28 anni, che si è impiccata in cella. Vuole precisare però che «non si tratta di un'ispezione», perché «da ex pm so perfettamente che quando ci sono suicidi si apre un fascicolo e la magistratura è sovrana». La visita è una «manifestazione di vicinanza in questo momento di dolore, anche alla direzione e alla polizia penitenziaria che soffre di gravi carenze di organico e di difficoltà operative che sono dall'inizio di questo governo, all'attenzione massima del ministero». Bisogna agire sulle pene, per trovare «forme alternative - spiega -. Alcune esistono già come i domiciliari e altre, ma queste non sono sufficienti a colmare i gap tra necessità di garantire sicurezza e garantire trattamento rieducativo. Si può fare solo aumentando la disponibilità di edilizia carceraria e l'unica soluzione è il riadattamento delle caserme. Costruire un carcere è costoso. Usare strutture dismesse con ampi spazi è la soluzione su cui bisogna iniziare a lavorare e ci stiamo lavorando con risultati che saranno forse immediati». Nordio pensa a un trattamento detentivo differenziato per i condannati con pene brevi da scontare per reati che non destano allarme sociale: «Cercheremo quella che vorrei chiamare una detenzione differenziata. Nel senso che tra i detenuti molto pericolosi e quelli di modestissima pericolosità sociale c'è una situazione intermedia che può essere corretta e addirittura risolta con l'utilizzo di molte caserme dismesse che hanno spazi meno afflittivi», aggiunge Nordio. Si tratterebbe, stando ad alcune stime non ufficiali, di alcune migliaia di detenuti. Saranno i singoli provveditorati regionali dell'amministrazione penitenziaria a contattare Demanio e ministero della Difesa a livello territoriale per una ricognizione delle caserme disponibili, in vista di un piano nazionale. Per il presidente dell'associazione Antigone, Patrizio Gonnella, la soluzione non passa da altre strutture: «Passa per rapporti con le persone fuori dal carcere e passa per un aumento delle relazioni anche dentro gli istituti, con più vita fuori dalle celle, più tutela della salute, più ascolto, più interpreti e mediatori culturali». I sindacati della polizia penitenziaria sono scettici sul riutilizzo delle caserme e chiedono un tavolo permanente col ministro: «La via più netta è un ripensamento complessivo della funzione della pena e del ruolo del carcere. Anche la consistente presenza di detenuti con problemi psichiatrici è causa da tempo di gravi criticità», spiega Donato Capece del Sappe.

Il Pd propone «nei casi di non alimentazione volontaria, di introdurre l'obbligo di avviso al Garante territoriale e al Tribunale di sorveglianza», e attacca il governo «immobile» di fronte all'emergenza.

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