Cronache

Energia pulita, sporco affare In cinque anni 126 arresti

Per le truffe sull'eolico altri 106 denunciati. Corruzione e manette anche per il fotovoltaico. Alle mafie fanno gola gli incentivi pubblici

Energia pulita, sporco affare In cinque anni 126 arresti

Soffia il vento. E fa girare gli affari. Non sempre leciti, sempre più in odor di mafia.
L'energia pulita è diventata un business, e come tutti i business attira voglie inconfessabili. Quelle delle cosche, ad esempio. In Molise, che insieme a Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata e Campania ospita quasi l'80% dei parchi eolici esistenti in Italia (erano 807 quelli censiti alla fine del 2011 dal Gestore dei Servizi Energetici: quasi il doppio rispetto all'anno precedente) quattro mesi fa l'associazione «Caponnetto» ha presentato un dossier per denunciare le infiltrazioni della Camorra nel settore. Ma l'allarme lo aveva lanciato già la Commissione parlamentare antimafia due anni fa, indicando le crepe attraverso le quali infila i suoi tentacoli la piovra mafiosa per far cassa con vento e sole: i cospicui finanziamenti pubblici, spesso a fondo perduto; la farraginosità delle procedure burocratiche, che favorisce l'attività di mediazione illecita dei burocrati dalle mani lunghe; il mercato dei terreni candidati ad ospitare aerogeneratori e pannelli solari.

E ancor più preciso era stato il Cnel, che nel maggio del 2012, in un rapporto forse troppo in fretta dimenticato, aveva dato i numeri. Drammatici: tra il 2007 ed il 2011 ben 17 sono state le inchieste aperte da 14 Procure sui parchi eolici, tutte concentrate nelle cinque regioni meridionali; 106 le persone denunciate, 126 quelle arrestate.
L'ultimo blitz della serie è scattato l'altro ieri, nel Messinese: cinque persone sono finite in galera per un appalto da 120 milioni legato ad un nuovo parco eolico: su quei soldi, secondo la Dda, s'erano fiondate le cosche della zona. E con loro il sindaco di Fondachelli Fantina, Francesco Pettinato: per gli inquirenti avrebbe prima bloccato l'iter dei lavori. Poi, ottenuta la certezza che nei cantieri sarebbero entrati la ditta del cugino e operai di fiducia, avrebbe dato il via libera. Li hanno fermati i carabinieri alla vigilia della concessione, da parte della Regione, d'un finanziamento di 80 milioni. Fiumi di denaro che scatenano appetiti e spingono la mafia a fare impresa. Lo scorso dicembre, nel Trapanese, i ferri erano scattati ai polsi dell'imprenditore Salvatore Angelo e di cinque persone (tra cui un consigliere provinciale): le microspie lo avevano intercettato mentre si vantava d'essere «un grande amico di Matteo, anche se per adesso non ci posso andare a incontrarlo». Per gli investigatori, il Matteo in questione era Messina Denaro, capo di Cosa Nostra, spendendo il cui nome Angelo era riuscito a mettere in piedi una rete di società attive nella realizzazione di impianti di energia pulita.
Eccezioni? A quanto pare, la regola. O quasi. E non solo in Sicilia: a metà dicembre in Puglia 13 ordinanze custodiali avevano raggiunto altrettanti indagati, sospettati di truffe architettate per prendersi i fondi regionali destinati al fotovoltaico. A Novembre indagini chiuse, in Toscana, sul parco solare di Spicciano, realizzato con fondi europei e modalità ritenute illegittime.

Il 13 luglio del 2012, invece, in Calabria, i riflettori della Dda si erano accesi sulla cosca degli Arena, che nel loro feudo di Isola Capo Rizzuto, con l'ipotizzata complicità di 31 tra imprenditori e funzionari regionali (sotto inchiesta l'intero nucleo di valutazione di impatto ambientale della Regione), avevano tirato su un impianto eolico tra i più grandi d'Europa, al prezzo di diversi reati ambientali ed urbanistici, aggravati dalle modalità mafiose.
I pali del vento? «Robba bona. Si nun si svigghia uno nun pigghia». Tradotto: «Roba buona, se non ci svegliamo non si prende», si dicevano al telefono due picciotti.

Stavano svelando, a chi li ascoltava, la rotta per il nuovo Eldorado di mamma mafia: l'eolico.

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