Politica

Esposito, la difesa fa acqua. Più smentisce, più s'incarta

Il magistrato nega tutto e minaccia querele, dalle "esternazioni" a cena contro il Cav all’intervista al "Mattino". Ma le sue spiegazioni fanno flop e i testimoni lo sbugiardano

Il presidente della sezione feriale della Cassazione Antonio Esposito
Il presidente della sezione feriale della Cassazione Antonio Esposito

Ha la chiacchiera facile Antonio Esposito. Ma è anche un cultore della smentita. Smentite seriali, le sue. Ha smentito, o meglio ha provato a smentire, le inchieste del Giornale, ha negato quello che ha scritto, sempre sul Giornale, Stefano Lorenzetto, con cui aveva amabilmente conversato la sera del 2 marzo 2009 all'hotel Due Torri di Verona, ha tentato di radere al suolo l'intervista concessa al Mattino di Napoli, ora nega anche il contenuto imbarazzante dell'imbarazzante banchetto con provola e vista sul Tirreno in quel di San Nicola Arcella.

Esposito è fatto così: parla, parla ancora e ancora parla, poi si gira su stesso e annuncia querele a raffica. Ha smentito perfino quel che non avevamo messo in pagina: «Ho comprato regolarmente la Mercedes 300». Nessuno l'aveva anche solo ipotizzato, e semmai era stato il signor Csm a fare le pulci a quell'auto. In un certo senso, il presidente della seconda sezione della Cassazione ricorda quel presidente dell'Associazione nazionale magistrati che, per rimediare a un'intervista che gli era sfuggita di mano, mormorò un compendio immortale: «Non mi riconosco in quello che ho detto».

Ora nel mirino finiscono Massimo Castiello, l'imprenditore calabrese che organizzò quella serata, nell'agosto di due anni fa, e a ruota Franco Nero, il protagonista di tanti film che ascoltò con le proprie orecchie la tirata del giudice e che ieri ha confermato al Giornale: «Esposito non sopportava il Cavaliere». Tanto che, come ha svelato Castiello, se ne uscì con una collana di perle realizzata col filo del galateo: «Berlusconi mi sta proprio sulle palle. Ma se mi dovesse capitare a tiro gli faccio un mazzo così».

Un figurone. Chapeau. Anche perché la sinistra previsione si è puntualmente avverata tre settimane fa quando Esposito ha letto a reti unificate il verdetto che condannava il Cavaliere a 4 anni per la frode fiscale Mediaset.

Non importa. Esposito non si arrende e rilancia: «Sono ancora una volta costretto a smentire... Alla cena erano presenti altri commensali i quali, citati nelle competenti sedi giudiziarie, potranno sicuramente smentire che siano state pronunciate le espressioni, peraltro volgari, riportate nell'articolo».

In effetti uno dei sette commensali presenti, Domenico Fama, lancia al giudice, dal Fatto quotidiano, una ciambella nouvelle vague: «Io ero accanto a Esposito e non ho mai sentito quelle parole. La serata era molto formale... non era una cena in pantaloncini insomma e mi creda Esposito non avrebbe mai usato quelle parole».

Possibile che Castiello e Nero si siano sognati quel «fuori onda» del giudice? «Sono allibito - replica Castiello - ero a capo tavola e accanto a me, uno di fronte all'altro, c'erano Esposito e Nero. Esposito scandì proprio quei concetti e non c'è la possibilità che sia stato equivocato. Non eravamo in cento, ma in sette, spalmati su un tavolo di due metri e mezzo». Per intenderci, l'atmosfera non era quella dei banchetti carichi di personaggi dipinti dal Veronese, con figure laterali, imbucati vari, animali che scorrazzano. Il giudice martellava Nero di domande, voleva sapere tutto sulle sue interpretazioni, sembrava un critico, quasi una replica del Mereghetti, poi partì con la requisitoria sul Cavaliere.

Adesso, fra ipotetici fraintendimenti e surreali retromarce, Esposito cerca di accreditare un altro Esposito. Neutrale. Staccato. Imparziale. Ci ha già provato dopo la spericolata intervista al Mattino, quella in cui ha spiegato, con un mix di italiano e napoletano, il perché della condanna del Cavaliere: «Non l'abbiamo condannato perché non poteva non sapere, ma perché sapeva». Il colloquio ha suscitato un pandemonio e allora Esposito ha cercato di buttare come zavorra le frasi incriminate: «Non ho mai parlato di Berlusconi». A quel punto il direttore del Mattino Alessandro Barbano, piccato, ha pubblicato sul sito un frammento, assai eloquente, della telefonata fra il giornalista e il giudice. Ma Esposito non si è arreso nemmeno in quella circostanza e ha evocato «una manipolazione» del testo. Se non siamo ai poteri forti, alle manine e alle manone, poco ci manca.

Smentire, smentire, smentire. Anche quello che non c'è. Esposito ci attacca per la Mercedes: non è vero che fu acquistata irregolarmente. Il Giornale non l'ha mai sostenuto. Non importa. Si nega anche quello che non esiste. Batti, ribatti e ti arrabatti.

Con Lorenzetto le smentite non si contano. Lorenzetto ricorda di essere rimasto basito dalle affermazioni del magistrato. Esposito si dilungò sulle presunte intercettazioni del Cavaliere e sulle sue disquisizioni a luci rosse; Esposito definì Berlusconi «un genio del male»; Esposito anticipò, già che c'era, l'imminente condanna contro Wanna Marchi. Falso, replica lui. Tre volte falso. Tutto falso. L'ex vicedirettore del Giornale naturalmente conferma ed è pronto a chiamare in causa due testimoni. Il magistrato azzannerà pure loro? Per ora contesta anche la descrizione uscita dalla penna di Lorenzetto che mette ai suoi piedi «scarpe da jogging». «Non ho mai posseduto né calzato (e dico mai senza tema di smentita) scarpe da jogging, attività che non ho mai praticato». Ma anche Lorenzetto è irremovibile e controreplica: «Scarpe da jogging bianche». Ora viene smentito Castiello e ci si prepara alla sfilata dei testimoni.

«Sono sereno - replica ironico l'imprenditore - chi era a tavola quella sera di due anni fa non può non aver sentito il vangelo di Esposito su Berlusconi».

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