Politica

Feriti, insultati e sotto accusa: c'è un piano contro i poliziotti

I sindacati contro Pansa: ci criminalizzano e il capo non ci difende. Un clima da caccia alle streghe 

Un momento degli scontri della manifestazione del 12 aprile scorso a Roma
Un momento degli scontri della manifestazione del 12 aprile scorso a Roma

La delegittimazione va avanti, giorno dopo giorno. La battaglia del 1 maggio contro i No Tav si chiude a Torino con sette agenti feriti, compreso un funzionario della Digos che si prende una bastonata in testa e sviene. Ma, raccontano gli stessi uomini in divisa, «gli infermieri ci hanno accolto in ospedale gridandoci assassini». E allora la polizia diventa una polveriera e alcune sigle del frammentato universo sindacale annunciano una raccolta di firme per chiedere le dimissioni del numero uno del corpo, Alessandro Pansa. Gianluca Pantaleoni, segretario nazionale del Consap, frena: «Forse non andremo avanti con questa iniziativa, ma certo Pansa è assolutamente inadeguato per il ruolo che ricopre».
La misura è colma. E le feroci critiche piovute sul congresso di Rimini, con gli applausi agli agenti condannati per la morte di Federico Aldrovandi, vengono rispedite al mittente. «Siamo stufi - spiega al Giornale Pantaleoni che rappresenta quasi 6mila divise - noi veniamo criminalizzati ogni giorno. Non c'è manifestazione che non si porti dietro le foto canoniche dell'agente di turno che picchia o allunga una manganellata o chissà che altro a qualche malcapitato. Mai che si cerchi di spiegare che lavoriamo in condizioni difficilissime, senza mezzi, in un contesto quasi sempre nemico. Ci becchiamo pacchi di denunce per fatti inesistenti e ci accusano di tutto, a prescindere, ci considerano sporchi e cattivi». In realtà dentro la polizia ci sono sigle sindacali molto diverse, sensibilità assai variegate, di sinistra e di destra, i giornali titolano sulla polizia spaccata in due, fra democratici e autoritari, ma il disagio è generale. E non ci vuole molto per esplicitarlo: «Io difendo decine di agenti indagati nella difesa dell'ordine pubblico - spiega l'avvocato Eugenio Pini - quel che colpisce è l'impostazione ideologica, quasi culturale della magistratura che incrimina i poliziotti per reati dolosi e mai colposi. Il poliziotto compie il suo dovere, ma se ha dato una manganellata di troppo si punta subito sul dolo, sulla volontà di fare male, sulla cattiveria quasi genetica degli agenti. Per l'errore medico, l'ipotesi iniziale è invece quasi sempre quella del reato colposo, dell'intervento fatto male, non del crimine cercato e messo in atto». Pini snocciola episodi su episodi: «Per i tafferugli avvenuti davanti all'Olimpico durante la partita Roma-Inter del 2010, i poliziotti vengono considerati come una terza tifoseria e vengono incriminati a grappolo per reati dolosi, quando in concreto hanno dato una o due manganellate a teppisti che stavano mettendo a ferro e fuoco la zona. È inconcepibile».

Il morale è sotto i tacchi. E poi ci sono gli stipendi da fame o quasi, gli straordinari non pagati, i contratti al palo. «L'agente medio ormai mette le mani avanti - spiega Pantaleoni - deve intervenire in contesti spinosissimi per ritrovarsi poi con una denuncia e accuse di ogni genere. Attenzione: noi non sottovalutiamo la portata del caso Aldrovandi, ci siamo dissociati dall'applauso dei colleghi del Sap, ma bisogna capire la frustrazione e l'amarezza di tanti dei nostri».
Forse, e senza voler giustificare niente e nessuno, la standing ovation di Rimini coglieva proprio questo stato d'animo così diffuso. «Lo dico sommessamente da avvocato ma lo ripeto con fermezza - afferma Fabio Schembri, difensore dei due carabinieri sotto indagine per la morte di Giuseppe Uva assieme a Luciano Dipardo - c'è una delegittimazione continua verso la pubblica sicurezza. Nel caso Uva la magistratura fa le sue indagini e non una ma due volte chiede l'archiviazione. Niente da fare: il gip dispone nei confronti di sei poliziotti e due carabinieri l'imputazione coatta e lo fa per un reato assai grave: l'omicidio preterintenzionale. Questo vuol dire che sei poliziotti e due carabinieri che non si conoscevano e che si trovarono per caso ad operare insieme la notte del 14 giugno 2008 a Varese si misero d'accordo per pestare a sangue il povero Uva. Il tutto alla presenza dei medici e dei lettighieri. Uno scenario terrificante e a mio parere fantascientifico, troppo anche per i pm. Ma il gip ha deciso di andare comunque verso il processo». I giornali traboccano d'indignazione. Aldrovandi. Magherini. Uva. L'agente che calpesta una ragazza. Le foto degli scandali. E la pancia della polizia si sente abbandonata da tutti: «Siamo figli di nessuno - attacca Pantaleoni - e in particolare ci sentiamo lontani dal nostro capo, Alessandro Pansa. Che approfitta di ogni occasione per marcare la distanza dalla base e per compiacere i media». Non si sa se la raccolta delle firme andrà avanti, ma la frattura con una parte del corpo è ormai irrecuperabile. «Non ci rappresenta», dicono tanti, gli stessi che rimpiangono il compianto Manganelli. «Manganelli - conclude Pantaleoni - non si tirava indietro quando c'era da chiedere scusa, ma non faceva mai mancare il suo affetto agli agenti».

Ora invece i poliziotti si sentono soli.

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