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E i giuristi bocciano Esposito: "Verdetto Mediaset non regge"

Due esperti su "Guida del diritto" smontano la condanna: "Si basa solo sulla presunzione di colpevolezza, senza verificare la fondatezza dei ricorsi"

E i giuristi bocciano Esposito: "Verdetto Mediaset non regge"

Roma - Sono giuristi, parlano da esperti, da addetti ai lavori che conoscono la materia e sanno valutare una sentenza codice alla mano. Solo da tecnici, nulla di più. E con questo approccio bocciano la pronuncia della Cassazione sui diritti tv Mediaset, che è costata a Silvio Berlusconi una condanna a 4 anni di carcere. La bocciatura arriva da Enrico Marzaduri, professore ordinario presso il Dipartimento di Diritto Pubblico dell'università di Pisa, e Antonio Iorio, docente di Economia dei tributi presso l'università della Tuscia, a Viterbo, per mezzo di due lunghi e dettagliati articoli comparsi su Guida al diritto, la rivista giuridica del Sole 24 Ore.

L'esito della sentenza pronunciata dalla sezione feriale, presieduta dal giudice Antonio Esposito, non convince i due giuristi sotto diversi profili. Marzaduri evidenzia come i supremi giudici si siano limitati a riportare integralmente le conclusioni dei colleghi di primo e secondo grado affermando che erano corrette e senza preoccuparsi di valutare se la Corte d'Appello di Milano avesse raggiunto la prova della partecipazione di Berlusconi al contestato reato di frode fiscale. Non ci sarebbe stata, insomma, alcuna verifica della fondatezza dei motivi del ricorso presentato dal Cavaliere. Ma c'è un capitolo sul quale ai giudici preme invece soffermarsi di più, quello sulle asserite prove di un rapporto stretto tra Berlusconi, i manager Mediaset e il mediatore Frank Agrama, nonostante quest'ultimo abbia testimoniato sotto giuramento non solo di aver incontrato una sola volta il Cavaliere negli anni '80 ma anche che l'ex premier non ha mai partecipato a nessuna trattativa di compravendita di diritti televisivi. Tanto che mai i pm milanesi hanno trovato traccia di passaggi di denaro tra i due presunti soci. Per cercare di dimostrare il contrario i giudici si inoltrano in una disamina che, a detta di Marzaduri, «pare più espressione di un nuovo vaglio di merito che una verifica di fondatezza di censure mosse alla decisione della Corte territoriale». La condanna sarebbe dunque basata su una «presunzione di responsabilità», che vede Berlusconi coinvolto anche nella scelta di effettuare gli ammortamenti per le dichiarazioni fiscali del 2002 e del 2003, che si riferiscono a fatture del '98. «Presunzione - si legge nell'articolo - ritenuta sufficiente a giustificare il rigetto dei ricorsi nella misura in cui non si sono acquisiti dati probatori contrastanti».

Altro articolo, altra censura «tecnica». Antonio Iorio parte dalla differenza tra fatture soggettivamente inesistenti, quelle cioè utilizzate per gli ammortamenti ed emesse non dal soggetto che ha affettivamente ceduto i diritti ma da un'altra impresa estera priva di effettiva autonomia decisionale, e quelle oggettivamente inesistenti, in cui viene riportato un importo maggiore di quello reale, per concludere che in questo processo non ci sono fatture false e non è configurabile il reato di frode fiscale, come il professor Franco Coppi ha ampiamente argomentato davanti ai giudici della Cassazione durante la discussione del ricorso. Perché è vero che Mediaset ha acquisito i diritti Tv a prezzi superiori, ma quei soldi li ha effettivamente pagati e non c'è prova che il denaro sia rientrato per altri canali nella disponibilità della società. Il costo, dunque, non è fittizio. Un argomento forte, che infatti le motivazioni della sentenza non riescono a superare. Nel processo Mediaset, osserva Iorio, «il costo è stato effettivamente sostenuto, il bene o il servizio realmente acquistato, per cui di norma l'amministrazione fiscale non ha alcun problema a riconoscere la deducibilità del costo».

E la Cassazione stessa in passato, in due diverse pronunce, ha negato che in medesime ipotesi di costi gonfiati ma realmente sostenuti fosse configurabile la frode fiscale.

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