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Figuraccia del governo costretto a rimangiarsi la tassa sul telefonino

Stop al decreto che aumentava le tariffe sull'acquisto di smartphone e tablet. Una manovra del Pd crea il caos ma Letta e Bray congelano la stangata

Figuraccia del governo costretto a rimangiarsi la tassa sul telefonino

Roma - Beccati con il sorcio, anzi con il mouse in bocca. Il ministro dei Beni Culturali, Massimo Bray, e il presidente del Consiglio, Enrico Letta, smentiscono con decisione «la tassa su smartphone e tablet», proprio nell'imminenza dell'emanazione del decreto sull'equo compenso. Le proteste di consumatori, di Matteo Renzi (e il malumore delle aziende produttrici) hanno innescato una mezza retromarcia. L'ennesima per questo governo.

A raccontare la storia ci sarebbe da sorridere per le modalità dell'intreccio: la solita arroganza del Pd che tratta la cultura (e anche la tecnologia) come se fosse affar suo. L'importante è che non piangano i cittadini che da due mesi rischiano di dover pagare altri 200 milioni allo Stato, una cifra più che raddoppiata rispetto alle royalties che attualmente vengono riconosciute alla Siae per la cosiddetta «copia personale». Dal 2009 quando si acquista un dispositivo con memoria (pc, smartphone, hard disk e decoder con memoria) si paga un sovrapprezzo che serve a compensare autori ed editori dei duplicati caricati su quei supporti.

Il decreto del 2009 è scaduto a fine 2012. Nel tourbillon della legge di Stabilità quattro deputati del Pd (Ribaudo, Moscatt, Culotta e Ventricelli) ottengono l'approvazione di un emendamento che demanda l'aggiornamento della tariffa al ministero, sentita la Siae. Il presidente dell'ente, Gino Paoli (sì, proprio lui, l'autore del Cielo in una stanza e di Quattro amici nonché ex deputato indipendente del Pci), si è speso per la tutela a ogni costo del diritto d'autore che è un suo cavallo di battaglia, più di Sapore di sale.

Bray, che viene dal Pd ed era in quota D'Alema, recepisce il messaggio. Tra dicembre e gennaio cominciano a circolare le bozze del decreto attuativo: una stangata. Il prelievo sugli smartphone sale da 0,9 a 5,2 euro così come viene introdotto quello sui tablet (5,2 euro) e sulle smart tv (5 euro). Rialzi anche per computer (da circa 2 a 6 euro) e lettori mp3 (da 9,66 a 12,88 euro). Aggiungendo l'Iva al 22%, la voglia di cambiare il telefonino può anche passare.

Ecco perché Confindustria Digitale (di cui fa parte l'Anitec che riunisce anche i produttori di cellulari) sale sulle barricate: «I balzelli aggiuntivi aumentano il digital divide». La notizia pian piano si diffonde, non solo tra gli appassionati di tecnologia. Pure i renziani si arrabbiano e ieri giunge l'altolà a Letta e Bray. «L'Italia ha bisogno di più digitale a prezzi accessibili, non dell'aumento ingiustificato di tasse a fondo perduto», ha dichiarato il senatore Andrea Marcucci.

Scoperto a pochi metri dal «traguardo», il ministro Bray mette le mani avanti. «Non c'è nessuna nuova tassa, lavoriamo a una soluzione condivisa per difendere la qualità», afferma. In realtà, dopo le consultazioni con le controparti, ai Beni culturali si pensava di limare un po' le proposte della Siae, anche perché il mercato dell'Information technology ha segnato il passo a causa della crisi. Il costo della pirateria online, che danneggia gli introiti della Siae, non può essere caricato su una sola spalla. Senza contare che un iPhone in Italia è più caro che nel resto d'Europa, nonostante in Francia e Germania l'equo compenso sia più salato.

A scanso di equivoci, anche Palazzo Chigi prende le distanze. «La tassa non esiste», fa scrivere Letta su Twitter. Si consuma un'altra giornata farsesca. Resteranno le proteste dei consumatori: «È roba da Medio Evo!». Non è vero. Nel Medio Evo si stava meglio: i monaci di Montecassino e di Citeaux hanno salvato, copiandola, tutta la cultura classica.

E non hanno dovuto pagare nessuna tassa.

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