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Quel totem dell'immunità parlamentare abbattuto dai giustizialisti di Mani pulite

Fin dalla Magna Carta, lo scudo proteggeva la politica dai golpe. Ma è stato spazzato dall'onda post Tangentopoli

Quel totem dell'immunità parlamentare abbattuto dai giustizialisti di Mani pulite

Quando l'ondata giustizialista, che ha sconvolto i fragili equilibri sociali e politici del paese, si sarà ritirata, il 12 ottobre 1993 verrà ricordato come una delle date più nefaste della storia d'Italia, assieme a Caporetto e alla Marcia su Roma. La «grande coalizione» postcomunisti, rifondazionisti, verdi, rete, repubblicani, Lega, Msi, radicali-che nell'aprile non era riuscita a ottenere da Montecitorio l'autorizzazione richiesta dalla Procura di Milano per procedere contro Bettino Craxi, accusato di ogni crimine, ebbe in quel giorno la sua rivincita. Con 525 sì, 5 no e un astenuto, alla Camera, 224 sì, 7 no e nessun astenuto al Senato l'immunità parlamentare venne abrogata. In tal modo, si poteva processare un rappresentante del popolo senza l'autorizzazione della Camera di appartenenza. L'antico privilegio dell'impunibilità di un parlamentare, nel periodo in cui svolge le sue funzioni-sancito nell'art. 68 della Costituzione Italiana-apparve all'opinione pubblica come la negazione, scandalosa e inammissibile, dell'art.3 della nostra Magna Carta che nel primo comma recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

Certo episodi di collusione e di corruzione dovuti al malaffare della casta ce n'erano stati a migliaia. In dieci legislature non vennero concesse ben 2.202 richieste di autorizzazione a procedere contro le 2.717 presentate. Sennonché, come capita spesso nel bel paese, lo sdegno crescente verso la corruzione non venne indirizzato, dagli organi di informazione e dalle altre agenzie che «fanno opinione» (dalla scuola alle parrocchie), alle cause reali che stavano precipitando l'Italia nel baratro - e in primis l'intreccio perverso di politica e di economia indotto da una terza via all'italiana per cui i destini delle imprese non si decidevano sul mercato ma nei congressi della Dc e del Pci - ma si riversò tutto sulla classe politica, il cui simbolo più scomodo, Craxi appunto, venne messo alla gogna col cappio da forca fatto sventolare dalla Lega e le monetine gettategli addosso da una composita plebaglia postcomunista e postfascista. Che su una questione così complessa e delicata come l'immunità parlamentare si fossero registrate maggioranze bulgare avrebbe dovuto far vergognare i giuristi col «senso dello Stato» che, invece, festeggiarono l'evento intonando il Te Deum al simulacro del Diritto. Il peggio, però, non era questo ma il vero e proprio golpe costituzionale che aveva portato deputati e senatori a disporre di diritti e privilegi - l'immunità parlamentare - conferiti non a loro ma alle funzioni (legislative) che avevano ricevuto dal popolo sovrano. Additati come un'accolita di corrotti e di collusi, avevano messo a disposizione di un altro (presunto) potere, la magistratura, quelle che erano prerogative della carica e non del singolo e momentaneo detentore.

Dal Parlamento inglese a quello sabaudo dello Statuto albertino, l'immunità parlamentare ha sempre garantito la dignità e l'indipendenza dei rappresentanti del popolo dall'arbitrio di altri poteri «irresponsabili». Questi ultimi che, un tempo, erano costituiti dai monarchi oggi potrebbero far capo ad altri ordini dello Stato come, ad esempio, la magistratura che, in Italia, si considera a torto un «potere» che sovranamente sottopone a giudizio i propri membri incorsi in qualche «incidente» ma non riconosce a un vero potere, quello legislativo, il diritto di occuparsi delle proprie pecore nere.

Ma è poi un potere quello dei magistrati? Ed è pertinente il frequente richiamo a Montesquieu e allo Spirito delle Leggi? In realtà, come hanno rilevato studiosi come Domenico Fisichella e Giuseppe Bedeschi, «Montesquieu non solo non annovera il giudiziario tra i poteri fondamentali della monarchia, ma tutti i suoi sforzi sono diretti a porgli dei limiti ben precisi». Inoltre, nella lettera del 1753 a un membro del Parlamento di Parigi (nell'ancien régime una sorta di alta corte di giustizia), ammoniva che «l'applicazione dei principi dipende dalle circostanze... Voi non dovete determinarvi e decidervi che in base a un solo principio: la salute dello Stato è la legge suprema».

Può darsi che i 5 giudici della Corte di Cassazione, che, con la loro sentenza, hanno dato una spallata decisiva alla crisi di regime in atto, abbiano agito in nome del Diritto ma i loro estimatori lascino perdere Montesquieu. Non c'azzecca!

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