Cronache

Finto malato tradito dal web: "Belle ferie"

Si fa dare quindici giorni di malattia e va al mare. Poi se ne vanta su Facebook: "Belle ferie". Beccato e licenziato

Alberto Sordi fa il gesto dell'ombrello nel film "Vitelloni"
Alberto Sordi fa il gesto dell'ombrello nel film "Vitelloni"

Un giovane fesso si aggira per la Brianza. Ce ne sono altri, non è questo il punto. Ma il fesso in questione è fesso da due a tre volte in un colpo solo, il che non è da tutti. Sembra un truffatore, a prima vista. È invece uno di quei fessi aggravati da prismatica dabbenaggine, per non dire da spaventosa coglioneria. Uno di quelli che a Catania e dintorni sono detti «fessi col giumbo», ovvero dotato di pennacchio a colori, come i cavalli dei carretti siciliani, e dunque riconoscibili a distanza. Un fesso col giumbo. Irredimibile.
Il nome non c'è, ma non è che importi poi molto, trattandosi di fesso paradigmatico, ovvero di tipico italiano ancora convinto che essere furbo significhi anche essere smart, come dicono ora i giovani, e pensano perciò di essere molto ganzi, mentre invece sono platealmente, pateticamente fuori moda. Uno di quei truffatorelli che pensando di gabbare solo il proprio datore di lavoro, gabba lo Stato, la collettività e infine se stesso.

Ed ecco la storia. C'è questo tipo, un apprendista ventenne che dovrebbe baciarsi i gomiti per essere stato ingaggiato da un'azienda che a sua volta si bacia i gomiti perché ha lavoro anche ad agosto, il quale chiede tre settimane di ferie. Tre settimane! Ad agosto! Un apprendista!
L'azienda traccheggia, c'è una commessa da rispettare, delle scadenze. Tre settimane di ferie sembrano un'enormità: delle tre richieste, gliene concedono due. Il resto è proprio come pensate. Il tipo va dal medico, e quest'ultimo, invece di mollargli un cazzotto sul naso o un ancorchè simbolico calcio nel sedere gli molla un simpatico certificato. Che ci vuole? Uno svolazzo ed ecco fatto: due settimane di malattia.

Il giovane impugna la preziosa carta e la inoltra non senza sagacia e tempismo all'azienda 15 giorni prima che scattino le ferie concordate. Totale: un mese di vacanza.
Fin qui siamo di fronte a un truffatorello classico, uno di quelli che tutti i giorni butta il suo piccolo dado nel già sgangherato sistema-Paese del Belpaese. Ma essendo il nostro un fesso complesso, a più facce, come detto, lui se ne vanta su Facebook. Stravaccato sotto un ombrellone, succhiando il suo mojito mentre Michel Telò canta «Bara bara bere bere», e a seguire «Ah se eu te pego», il mitico fesso brianzolo si prende il lusso di sfottere anche l'azienda via internet vantandosene con gli amici e i colleghi. Purtroppo per lui, in Brianza c'è un altro tipo che non ha alcuna voglia di farsi prendere in giro, e dopo avere spedito a casa del fesso due visite fiscali, anticamera di due siluri licenziativi a quota periscopio, spiattella la storia alla Provincia di Como, che la stampa, e poi gli altri giornali la rilanciano, e il fesso è fritto tre volte. Di quest'ultimo tipo il nome l'abbiamo. Trattasi di Marco Clerici, amministratore delegato del gruppo «Clerici auto» (120 dipendenti, 20 dei quali apprendisti) sparpagliati nelle sedi di Tavernerio, Mariano Comense, Lurate, Olgiate Comasco, Saronno e Varese.

Tipo singolare, questo Clerici. Poteva tenersela per sé, questa storia, licenziare il citrullo (per educarne cento) e tanti saluti. Invece no. Perché l'aspetto che più lo ha fatto incazzare, stavamo per scrivere, è un altro. È, per dirla con le sue parole, «l'aspetto collusivo» della faccenda. Cioè la faccia tosta di certi medici compiacenti dalla ricetta facile, associati in un delinquere quotidiano che sembra di piccolo cabotaggio, disonesti per ignavia e privi di decoro e di attributi.
Una storia, dice Clerici, in cui perdono tutti. «Perde il medico irresponsabile, la cui leggerezza si ripercuote sulle imprese prima e sulla formazione del ragazzo poi. E perde anche il ragazzo, che lascia passare il tempo mettendo a repentaglio la possibilità di imparare un mestiere e di definire se stesso anche attraverso un lavoro». È tutto.

Non c'è altro da aggiungere.

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