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Il flop Napoli: nessuna prova sul Cav

Caso De Gregorio, il gip nega a Woodcock & C. il giudizio immediato: accuse generiche, non c'è traccia di corruzione

Il pm di Napoli Henry John Woodcock
Il pm di Napoli Henry John Woodcock

Scusate, ma la prova dov'è? Quale sarebbe la smoking gun dell'ultima inchiesta anti Cav della procura di Napoli? La pistola del reo confesso Sergio De Gregorio ha fatto cilecca, tanto che il gip Marina Cimma, nel rigettare la richiesta di giudizio immediato a carico di Silvio Berlusconi per corruzione, definisce le accuse quantomeno generiche «in merito alle modalità e ai tempi dell'accordo». E nemmeno le chiacchierate amarcord di Romano Prodi, Tonino Di Pietro e Anna Finocchiaro coi pm partenopei son servite a dimostrare il do ut des del cambio di casacca politico. Molto fumus (persecutionis) e poco arrosto. Quanto alla fantascientifica storia dei due milioni in nero pagati all'ex senatore dipietrista (già ai domiciliari per una truffa da 20 milioni sui fondi per l'editoria) il giudice mette la mordacchia ai pm e gli impone di non correre troppo. Gli «accertamenti bancari risultano ancora in corso» e l'esito degli stessi è tutt'altro che scontato. Ragion per cui, l'indagine sulla (assai) presunta compravendita di parlamentari nel 2006, non ha bisogno della corsia preferenziale. Non c'è fretta di portare Berlusconi alla sbarra. Perché – è sempre il gip a scriverlo – la «prova circa l'esistenza di un accordo corruttivo è tutt'altro che evidente, attesa la genericità» delle dichiarazioni di De Gregorio. È la seconda volta che, per incastrare il Cav, i pm vesuviani tirano fuori dal cilindro il coniglio bianco della corruzione di parlamentari. Ci avevano provato nel 2008, sempre col duo Berlusconi-De Gregorio, ma il fascicolo era poi passato a Roma per spiaggiarsi sui lidi dell'archiviazione. Ci hanno riprovato stavolta, sperando che i tre verbali dell'ex presidente della commissione Difesa del Senato si rivelassero un tris d'assi. Ma nella memoria di Ghedini e Cerabona, gli avvocati del Cav, la ricostruzione accusatoria secondo la quale De Gregorio si sarebbe venduto all'allora capo dell'opposizione per «sabotare» il governo Prodi e favorire il ritorno alle urne in cambio di un bel po' di grana, è stata demolita. Secondo Woodcock&co, infatti, De Gregorio incassava i soldi e dava battaglia a Palazzo Madama. Per il gip la cosa è andata diversamente, perché «non è così evidente che la scelta di De Gregorio di votare contro le proposte della maggioranza sia stata destinata ad assicurare a Berlusconi il massimo beneficio e soprattutto che la stessa sia causalmente ricollegabile al compenso dal medesimo ricevuto». E ciò alla luce di una semplice considerazione, che il gip sviluppa vivisezionando le dichiarazioni di De Gregorio: l'ex parlamentare ha ammesso di aver assunto una posizione critica verso l'esecutivo di Prodi soprattutto per «difendere i militari», particolarmente penalizzati dai tagli alla Difesa, che potevano diventare il suo bacino elettorale. Per il gip, insomma, è difficile parlare di corruzione. Al più di finanziamento illecito al partito del politico campano, cui erano destinati i fondi in nero (che, beninteso, ancora oggi esistono solo nella ricostruzione d'accusa). Nei verbali, infatti, è lo stesso De Gregorio ad ammettere di aver chiesto a Berlusconi un sostegno per «Italiani nel mondo», aggiungendo che lo stesso Cav si era detto disponibile a rafforzare la creatura politica del politico campano. Non certo a ripianare i debiti di De Gregorio, che infatti ai pm è costretto ad ammettere: «Ovviamente, Berlusconi non sapeva che la maggior parte di questi soldi servivano per coprire i buchi di cassa». Il fascicolo ritorna così ai pm, che dovranno ora seguire l'iter ordinario: avviso di conclusione delle indagini ed eventuale richiesta di rinvio a giudizio. Con Berlusconi e De Gregorio, è sott'inchiesta anche il presunto intermediario Valter Lavitola, vittima, secondo il suo avvocato, di una «detenzione carceraria che appare fuori dei canoni costituzionali che presidiano la libertà personale». Dalla Santanché alla Bernini, da Nitto Palma a Daniele Capezzone fino alla Gelmini, tutto il Pdl plaude alla decisione del «giudice a Berlino» che ha smascherato l'ennesima offensiva antiCav. Ma come anticipato da Il Giornale sin dall'ottobre 2011, le toghe napoletane non molleranno l'osso. Insisteranno sulla «corruzione politica» provando a incrociare piste che nulla c'entrano, e che dalla P3 arrivano a Cosentino. Aspettate, e vedrete.

(ha collaborato Simone Di Meo)

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