Politica

Il fronte dei liberali contro la dittatura del fisco

Stanca e Ostellino concordano: i tecnici hanno fallito, tasse e burocrazia soffocano l'Italia

Milano - Fermi, anzi no. Andiamo all'indietro. E i tecnici paracadutati al governo hanno sbagliato clamorosamente la cura. «Hanno aperto il manuale – ironizza Piero Ostellino, editorialista del Corriere della Sera – e hanno studiato la prima regola: tasse. Così l'Italia è stata massacrata di tasse, le imprese hanno chiuso, la recessione è peggiorata e chissà quando ne usciremo». Non è così che si può portare il Paese fuori dal guado. Ci vorrebbe un'iniezione di cultura liberale. Certo, a parole tutti si dipingono come liberali, a destra come a sinistra, ma sono chiacchiere. E dunque fa un certo effetto imbattersi in chi, senza il paraocchi dell'ideologia, prova davvero a seguire la strada del merito individuale, immaginando uno Stato meno occhiuto e invadente. Come ieri sera quando, nella cornice del Sole24ore, si sono ritrovati a discutere del malato Italia liberali doc come Lucio Stanca, Alberto Quadrio Curzio e Piero Ostellino.

Stanca è stato un top manager dell'Ibm, poi è stato ministro dell'Innovazione tecnologica nel secondo e terzo governo Berlusconi. Ora traccia un bilancio della sua esperienza ed è costretto a riconoscere che l'Italia ha perso tempo. Troppo tempo. «Incrostazioni. Lobby. Ideologie». Arranchiamo. «Crescevamo poco, la metà degli altri partner europei, negli anni Novanta. Ci siano bloccati del tutto negli anni Duemila, quando pure gli altri crescevano, anche se meno di un tempo. Nell'ultimo periodo poi siamo andati indietro». E la terapia del professor Monti, spiega impietoso Ostellino, «si è rivelata un disastro. Hanno aperto il manualetto e hanno cercato la soluzione senza rendersi conto della realtà che avevano davanti».

Ecco, l'Italia che abbiamo di fronte è un Paese arretrato: dove, per dirla sempre con Ostellino, «non ci sono cittadini ma sudditi». Serve uno scatto. Una rivoluzione. Un cambiamento. «Attenzione – ammonisce Stanca che ha appena scritto un ritratto impietoso del nostro Paese L'Italia vista da fuori e da dentro - non ubriachiamoci con i numeretti di una possibile ripresa. Più 0,5 o più 0,6 per cento. C'è molto lavoro da fare, ci sono molte riforme da attuare, c'è una mentalità da cambiare». Le ricette propinate da burocrati e tecnici, fasciati dalle loro teorie astratte, ci hanno assestato un colpo quasi mortale, ma è tutto il sistema da rivedere. E alcuni assaggi, quasi carotaggi, compiuti da Stanca fanno venire i brividi: «Come possiamo pensare di cambiare quando il Sud sta scivolando verso l'Africa e ha un reddito pro capite più basso della Turchia? E per citare un caso concreto in Calabria l'80 per cento dell'economia passa dalla spesa pubblica, a sua volta intermediata dalla politica». Dati agghiaccianti. Ma Stanca insiste e punge ancora, pur professandosi un inguaribile ottimista: «Napolitano fa le consultazioni ed è costretto a ricevere 26 delegazioni. Ventisei partiti e partitini che ricattano l'esecutivo e pretendono il concerto per varare ogni nuova legge. Il concerto, sia chiaro, alla fine è un potere di veto, per cui non si cambia mai nulla». Il discorso scivola sui dettagli, Ostellino definisce a sua volta Napolitano «un doroteo democristiano iscritto quasi per caso al Pci». Quadrio Curzio che si considera un «liberale sociale, come Einaudi e gli illuministi lombardi» evoca la sussidiarietà. Altro concetto di cui traboccano gli atti parlamentari e di cui il Paese avrebbe bisogno. Stanca, «liberale liberale», disegna il futuro in un poker di parole: «Cultura del merito, della legalità, del risultato, dell'etica della responsabilità». Sembra di stare su Marte.

Ma i liberali, quelli veri, non si scoraggiano mai.

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