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Il governo conta i voti: al Senato col brivido dei franchi tiratori del Pd

Domani la fiducia: i "sì" sicuri si fermano a 160. Decisivi i Popolari di Mauro e i delusi grillini. Superato il primo scoglio la strada fino al 2018 appare già accidentata

Il governo conta i voti: al Senato col brivido dei franchi tiratori del Pd

Roma - Battezzato al Quirinale con la benedizione di Re Giorgio tra battute e sorrisi ai fotografi, il nuovo esecutivo di Matteo Renzi è atteso domani alla prima verifica della sua maggioranza parlamentare. Ma il voto di fiducia in Senato non è un appuntamento di routine. La conta potrebbe riservare sorprese al premier più giovane della storia della Repubblica e alla sua squadra.
Di certo a Palazzo Madama i numeri sono strettini. Teoricamente la maggioranza è la stessa che sosteneva il governo Letta, ma tra mal di pancia interni al Pd e delusi vari, raggiungere la maggioranza a quota 161 voti (su 320 votanti) potrebbe non essere così semplice.
Sulla carta, Renzi conta sui voti del suo partito - 108 - meno quello del presidente Pietro Grasso, che per prassi non partecipa al voto. Fiducia senza sorprese anche dai 31 senatori del Nuovo centrodestra di Angelino Alfano e dai 12 del gruppo per le Autonomie - del quale fanno parte i due senatori a vita Elena Cattaneo e Carlo Rubbia - a cui si aggiungono gli otto voti (compreso l'ex premier Mario Monti) di Scelta civica, rappresentata nel nuovo esecutivo dalla titolare del Miur Stefania Giannini.
A questi 158 voti andrebbero aggiunti i 12 del gruppo degli «scissionisti» di Scelta civica, i Popolari per l'Italia di Mario Mauro, che assicurerebbero al nuovo governo una maggioranza di almeno 170 voti. Ma proprio qui per Renzi si profila un primo ostacolo. Se Pier Ferdinando Casini e Antonio De Poli sceglieranno certamente il sì alla fiducia, dopo l'ingresso dell'Udc nel governo con Galletti, il malessere dei Popolari per la mancata conferma di Mauro al dicastero della Difesa è evidente. «La nostra disponibilità non è così scontata», ha riassunto due giorni fa il vicepresidente del gruppo, Tito Di Maggio, e a ribadire il messaggio ha provveduto ieri Andrea Olivero. Senza Mauro, ha detto, «non abbiamo il vincolo di dover votare la fiducia a prescindere». Morale, la conta dei voti blindati e assicurati (o quasi, vedi Civati), per Renzi, si ferma a 160, appena un gradino sotto la maggioranza.
La fiducia per Renzi passa dunque dalla galassia degli incerti, dove i dieci senatori dei Popolari sono in buona compagnia. I «no» sicuri al nuovo governo dovrebbero essere 132: i voti di Forza Italia (60), della Lega (15), dei sette senatori di Sel e dei 50 pentastellati (con l'incognita di Orellana, Battista, Bocchino e Campanella, i quattro grillini che avevano criticato il leader dopo il faccia a faccia in streaming con Renzi, ora in odore di espulsione).
Restano 27 senatori, gli «incerti», e sono i voti decisivi per il nuovo governo: i già citati Popolari, gli undici del Gal, i quattro fuoriusciti grillini confluiti nel gruppo Misto e gli altri due senatori a vita, Carlo Azeglio Ciampi e Renzo Piano.
Dal Gal Renzi potrebbe raccogliere qualche voto come già accaduto a Letta, quasi certi i sì di Renzo Piano e, se voterà, di Ciampi. L'ultima incognita, però, arriva da un avversario interno, Pippo Civati. L'esponente del Pd a Palazzo Madama conta su sei senatori, e ha lanciato un sondaggio online «alla grillina», chiedendo ai suoi se bisogna votare o meno la fiducia a Renzi.
Insomma, il premier-sindaco domani potrebbe anche incassare la fiducia, riuscendo a raggranellare una maggioranza.

Ma l'impressione è che, da lunedì in poi, l'esecutivo che dovrebbe durare fino al 2018, non avrà mai vita facile a Palazzo Madama.

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