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Grillo non ha inventato nulla: le risse sono nel dna dell'Aula

Niente di nuovo tra i banchi del Parlamento: dal 1949 intemperanze e violenza sono una costante. Ma oggi il risultato è assicurato: si finisce in tv e sui giornali

Grillo non ha inventato nulla: le risse sono nel dna dell'Aula

Se la rivoluzione non è un pranzo di gala, come diceva Lenin, neanche la vita parlamentare è roba per stomaci deboli: pugni, schiaffi, insulti, corse su e giù per i banchi inseguiti dai commessi, parolacce da mercati generali, risse violente e qualche mal represso impulso omicida fanno parte della tradizione italiana. È ormai mezzo secolo che frequento il Parlamento, quarant'anni come giornalista e una decina come senatore e deputato, poi di nuovo come ex. Ed è mezzo secolo che sono testimone delle piccole e grandi turpitudini e violenze nelle aule parlamentari. Dico l'opinione che mi sono fatto. Gli italiani si dividono in due: parlamentari e antiparlamentari e tutte e due le categorie detestano il Parlamento. Non che in Francia, Germania, Regno Unito o Svizzera non scoppino delle risse e non volino gli stracci insieme alle parolacce, ma quel che è sempre successo da noi da un secolo in qua (mettiamoci anche l'Italietta giolittiana e poi le sanguinose risse fra fascisti, socialisti e comunisti) non si è visto quasi mai in altri Paesi di lunga tradizione e anche di antico patriottismo parlamentare. Non ricordo risse ed epiteti da banco del pesce al Congresso americano, alla Camera dei comuni o al Bundestag tedesco, dove pure le urla non mancano.
Quando nel 1949 fu votata l'adesione alla Nato, presiedeva la Camera Giovanni Gronchi, futuro inquilino del Quirinale. Volarono per la prima volta insieme agli insulti anche gli schiaffi quando Giuliano Pajetta, fratello del più noto e sanguigno Giancarlo, si precipitò come un ariete contro un collega dando inizio a una rissa. Il vecchio Pci di Palmiro Togliatti rispettava la democrazia parlamentare e le sue regole, ma lo faceva a corrente alternata non dimenticando mai la tradizione rivoluzionaria e anche manesca, come facevano del resto i neofascisti del Msi che scendevano dai loro banchi per rafforzare con la forza dei pugni le loro opinioni. Del resto si faceva a botte anche sulle piazze del Paese: gli studenti si picchiavano nelle università, i lavoratori in sciopero facevano a botte con la Celere del ministro Scelba e il Parlamento, specialmente la Camera era prima di tutto un luogo di scontro e propaganda.
Facendo un salto in avanti di quasi trent'anni ricordo Aldo Moro (che sarebbe stato rapito, imprigionato ed ucciso di lì a poco) gridare con voce ferma che «la Dc non si farà processare nelle piazze» (si riferiva allo scandalo Lockheed) e ricordo i furori di comunisti e socialisti, ma anche missini.
I presidenti della Camera erano quasi tutti politici di lungo corso, alcuni dei quali salirono poi al Quirinale, come il già citato Gronchi, Leone e Pertini: sapevano governare le assemblee con mano ferma, come del resto Ingrao, Jotti, Violante, tutta gente cresciuta nel Pci. Il clima in quei decenni era spesso rancoroso (non meno di oggi) ma molto più composto. Parlavano sempre e soltanto i capi, i leader, grandi vecchi di tutti i partiti della Prima Repubblica al cui passaggio nel salone detto Transatlantico si aprivano le ali dei giornalisti obbligati ad indossare - come i deputati del resto - giacca e cravatta e a mantenere un atteggiamento discreto e sottomesso. Certo, all'occorrenza scorreva anche il sangue, ma erano quattro gocce per le grandi occasioni come quelle che sgorgarono dalla fronte di Randolfo Pacciardi al momento dell'approvazione della «legge truffa» (una sorta di Porcellum dell'epoca) colpito da cassetti e tavolini divelti nella bagarre.
Se si va su internet si scoprono tracce di antiche scazzottature non passate alla storia, come quella con robusto ceffone che si beccò il pacifico deputato monarchico nonché agricoltore Ettore Viola, raggiunto dal democristiano Albino Stella. Ma tutto il lungo periodo della guerra fredda, quasi calda, che va dal 1948 agli anni Ottanta, fu una stagione di insulti feroci, postribolari, assalti bloccati dai commessi i quali si prendevano la loro dose di botte.
Arrivarono poi i radicali e non dettero prova di pacifismo gandhiano. Le questioni roventi della P2 e delle associazioni segrete spinsero il radicale Cicciomessere a saltare olimpionicamente sul banco del governo, salvo mancarlo e accasciarsi sul pavimento dove alcuni deputati del Pci accorsero non per aiutarlo ma per riempirlo di calci. Il pestaggio fu bloccato dai commessi, che ebbero la loro parte di calci e gomitate, mentre il deputato Tessari, radicale anche lui partiva in quarta contro un questore del Pci accendendo un altro focolaio di rissa.
Fra i ricordi personali, quello della lunga notte in aula dopo una contestazione di noi di Forza Italia contro il presidente del Senato Marini (quello che poi fu silurato dai «democrats» durante la votazione per il Quirinale) quando partimmo come schegge verso la Presidenza che secondo noi usava il regolamento con due pesi e due misure. Il senatore Lucio Malan, con lancio preciso, fece atterrare una pesante copia del regolamento sul tavolo del presidente del Senato e si scatenò l'inferno. I commessi intervennero e noi rivoltosi occupammo l'aula per qualche ora dopo la chiusura.
Gli episodi di intemperanza, maleducazione, violenza verbale e il lancio di insulti grevissimi - gli stessi che si usano d'abitudine sotto il semaforo - non fanno notizia. Anzi, proprio la necessità di «fare notizia» fu oggetto di accurate ricerche di tecnica della comunicazione specialmente da parte dei radicali nel momento del loro primo fulgore - Pannella imbavagliato, i cartelli subito rimossi da commessi - e poi dai leghisti. Si vide che qualsiasi violazione dei regolamenti commessa attraverso le immagini e non soltanto con le urla, diventava telegiornale e giornale. La scena è sempre la stessa: i deputati (più raramente i senatori) entrano in aula nascondendo l'armamentario prestabilito (cartelli, oggetti, indumenti...) e al segnale convenuto li estraggono. I commessi ogni volta sono già avvertiti e corrono stancamente per sequestrare il materiale mentre il presidente di turno interrompe i lavori. I fotografi scattano, i cameramen riprendono e il gioco è fatto. L'indomani siamo su tutti i giornali e telegiornali, magari anche sulla stampa internazionale sempre famelica di vicende italiane: dopo gli spaghetti-western, lo spaghetti-Parlamento.
I più grandi successi di happening di questo genere, più vicini alla pop art che alla pratica democratica, sono stati i famosi cappi della Lega: ecco Luca Leoni Orsenigo agitare il nodo del boia sotto il naso del governo, mentre una pattuglia di deputati di maggioranza scatta al suo inseguimento. Ed eccone un altro memorabile: quello del missino Teodoro Buontempo che scappa urlando «ladri-ladri» in un megafono introdotto di contrabbando, inseguito dai commessi per essere poi espulso insieme al suo camerata Marenco. Una vera rissa con groviglio umano? Quella del 23 luglio 2004 quando scesero sul ring dell'emiciclo Davide Caparini della Lega, che puntò Roberto Giachetti della Margherita, bloccato dal solito cordone dei commessi, cosa che non impedì lo scontro fisico con successivo ricovero di alcuni deputati in infermeria, fra cui Renzo Lusetti. Anche il «vaffanculo politico» non è un'invenzione di Grillo: il 15 novembre 2007 questo fu l'invito rivolto da alcuni senatori di Forza Italia al presidente della commissione Giustizia Cesare Salvi, dopo uno scontro a testate fra opposte fazioni e ossa craniche. Si potrebbe continuare.

Poco c'è di nuovo sotto la luce del sole, come si vede, salvo le accuse alle deputate renziane di fare carriera attraverso il sesso orale, per sua natura accuratamente distinto dal sesso scritto.

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