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A Grillo piace il comunismo: "Le idee di Marx? Bellissime"

Il leader del M5S ora impugna falce e martello. E il capitalismo diventa un nemico alla faccia degli imprenditori che lo votano

A Grillo piace il comunismo: "Le idee di Marx? Bellissime"

Roma - Vaglielo a spiegare ai piccoli imprenditori che in questi anni hanno scaricato la loro rabbia e le loro ansie nel voto al Movimento 5 stelle. A Beppe Grillo piace l'economia pianificata, il divieto di proprietà privata dei mezzi di produzione, la dittatura del proletariato e tutto il resto. In poche parole, a Grillo piace il comunismo.

La battuta ogni tanto gli esce. Fa parte del repertorio dei comizi-show, nei quali - con un abilità unica nel panorama politico italiano - mischia concetti di buon senso a sparate lunari che hanno il pregio di spiazzare e ipnotizzare l'audience.
L'ideale fondato da Karl Marx e Friedrich Engels, ha ripetuto due giorni fa a Cagliari, «era bellissimo» ma poi «è stato applicato male». A differenza del comunismo, il capitalismo «non è applicato male». È un male: «Disintegra gli Stati e non prevede la democrazia».

Non è dato capire se la pensi allo stesso modo Gianroberto Casaleggio, che è un imprenditore. Difficile arrivare a conclusioni politicamente coerenti, sulla base delle poche indicazioni date dal leader del Movimento 5 stelle. Se, ad esempio, il tradimento della cattiva applicazione del comunismo, secondo lui, sia avvenuto già ai tempi di Karl Marx e Friedrich Engels, con il passaggio dal socialismo utopico a quello scientifico. Se il comunismo delle origini sia quello delle piccole comunità primitive. Oppure se il tradimento si sia consumato con la nascita dell'Unione sovietica e con Stalin. Ma è difficile vedere Grillo nelle vesti di un trotzkista.

Le diatribe ideologiche sono state seppellite da tempo, persino dalla arretratissima politica italiana. Non interessano nemmeno a Grillo e se le riesuma è per ottenere attenzione del suo pubblico. Lo aveva fatto non molto tempo fa ripetendo più volte un concetto opposto rispetto alle lodi del collettivismo economico: «Siamo dei conservatori». Anche in quel caso nessuno aveva creduto in una conversione al rigore anglo-protestante di Margaret Thatcher.

Non c'è nessuna contraddizione nemmeno tra l'adesione alle incerte origini del comunismo e il vero ritornello di questa campagna elettorale, contro l'eredità concreta che quella ideologia ha lasciato nel paese: quello della «peste rossa».
Grillo anche ieri ha messo la sinistra italiana sullo stesso piano del fascismo: «In Italia il ceppo iniziale della peste nera ha avuto una sua mutazione, la cosiddetta peste rossa». Un «farmaco miracoloso venduto da imbonitori del “lavoro, lavoro, lavoro”, ricatto che verrebbe eliminato con il reddito di cittadinanza, e del politicamente corretto. I suoi effetti sono stati il deserto della produzione, la morte dell'innovazione, il cemento come idea di futuro e il massacro dell'ambiente».

Nello stesso calderone, «i vecchi compagni che hanno bisogno di una fede, di Credere, Obbedire e Combattere, e più ancora di loro, i nuovi affaristi rossi venduti alle multinazionali, lupi travestiti da agnelli post comunisti, figli di massoni e non di operai».

Ogni riferimento al premier è, con tutta probabilità, cercato e non approfondito, in perfetto stile Grillo. Renzi due giorni fa ha incrociato la spada con Grillo contrapponendo la «rabbia» M5s alla «speranza», che sarebbe invece il suo messaggio. Peccato che il punto di forza e quello di maggiore sintonia tra Grillo e gli italiani, sia proprio la rabbia, che il comico-leader interpreta benissimo.

Anche quando mescola, in modo incoerente, ideologie che non interessano più nessuno.

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