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Hanno fatto un golpe anti Cav ma fingono di non ricordarselo

Monti, Fornero e Fini corrono a smentire qualsiasi coinvolgimento del Colle nelle dimissioni di Berlusconi nel 2011. Ma le trame con le cancellerie europee riportano tutt'altra storia

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I ricordi, per carità, ognuno li rielabora come vuole. O meglio: come più gli conviene. Le verità più scomode vengono infatti corrette, taciute, molto spesso riscritte completamente. Così sta succedendo in questi giorni sulle pagine di una certa stampa dove, in concomitanza con la morte di Giorgio Napolitano, una pletora di ex della politica sono tornati a difendere quelle manovre che alcuni analisti non si sono fatti problemi a definire golpiste e che, nel novembre del 2011, portarono Silvio Berlusconi a lasciare Palazzo Chigi e passare il testimone a Mario Monti. Una mossa a tenaglia partita all'estero, nelle cancellerie di Bruxelles e sulle principali piazze finanziarie con l'attacco ai titoli di Stato e la corsa sfrenata dello spread da una parte e la lettera di Jean-Claude Trichet e i sorrisini di Angela Merkel e Nicholas Sarkozy dall'altra, e poi conclusasi nelle stanze del potere romano con lo strappo di Gianfranco Fini dal Pdl da una parte e la nomina di Monti a senatore a vita dall'altra. Un lungo avvicinamento a quello che fu un vero e proprio ribaltamento del voto popolare supervisionato, passo dopo passo, dall'uomo del Colle.

Oggi gli autori di quelle trame non vogliono che si parli di golpe. Non lo vuole Monti, in primis. Che arriva persino a negare che ci furono da parte della Germania pressioni per far fuori il Cavaliere. Pressioni documentate anche dal Wall Street Journal che rivelò la telefonata fatta dalla Merkel a Napolitano qualche settimana prima del ribaltone. E nemmeno Elsa Fornero lo vuole. Per lei l'allora capo dello Stato fu "custode e garante della Costituzione". "Era preoccupato che il deterioramento della situazione - spiega in un intervento sulla Stampa - determinasse non soltanto una crisi finanziaria ma anche le premesse per un diffuso anti sovranismo, anti-europeismo viscerale e per una nostra uscita dall'euro, e forse dall'Europa". Insomma, Napolitano salvatore della patria. Una narrazione che trova ampiamente spazio anche nell'ardita ricostruzione di Fini, al tempo presidente della Camera e soprattutto king-maker dello sfilacciamento del Pdl. "La teoria secondo cui l'allora capo dello Stato fosse il regista di un complotto per far cadere Berlusconi con la mia complicità - commenta al Corriere della Sera - non solo è infondata ma anche offensiva. Con falsi racconti degni della spazzatura che continua a circolare".

Per Pier Ferdinando Casini chi parla di golpe va soltanto a caccia di "fantasmi". Eppure dai racconti di tutti loro emerge (prepotente) il ruolo decisivo di Napolitano in un momento che ha dato il via a un decennio di maggioranze e governi non più scelti dagli italiani. Un ruolo, quello dell'allora capo dello Stato, che si era fatto sempre più incisivo con il passare dei mesi e l'acuirsi di una crisi più politica che economica. "Negli anni ci siamo confrontati spesso", ammette ora Monti in una intervista al Corriere della Sera. "Erano scambi piuttosto approfonditi". I due si vedevano già nel 2010. Poi, nel 2011, il rapporto si fa sempre più stretto. "Le conversazioni tra Napolitano e Monti precedono di quattro o cinque mesi la nomina a Palazzo Chigi", svela Alan Friedman nel libro Ammazziamo il Gattopardo. È di quell'estate pure la chiacchierata tra l'ex Bce e Carlo De Benedetti. I due si trovavano a Sankt Moritz e sul tavolo c'era già l'ipotesi di un incarico da premier. Una rottura che andava prepara nei minimi dettagli. E, infatti, a distanza di quasi dodici anni, Monti lo dice chiaramente: "Io mi sentivo benissimo perché lui era stato il tessitore di un consenso parlamentare che fece sì che io potessi governare con la maggioranza più ampia che ci sia mai stata". Il tessitore, appunto.

Di una tela che imbrigliò il Paese in riforme e misure che ne minarono fortemente la crescita.

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