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I cento vignaioli d'Italia che conquistano il mondo

È la grande bellezza del vino italiano, quella che tanto affascina gli americani, l'aperitivo dell'edizione numero 48 del Vinitaly, che apre domani nei tradizionali spazi della Fiera di Verona. Oggi, infatti, nel Palazzo della Gran Guardia della città scaligera, che 46 anni e mezzo fa ospitò la prima edizione della rassegna, allora Giornate del vino italiano, saranno in degustazione per un pubblico di addetti ai lavori i cento migliori vini italiani secondo la selezione di Wine Spectator, la bibbia americana del settore. Una fotografia - un po' da cartolina, va detto - dell'Italia del vino. Nella top hundred c'è forse un po' troppa Toscana (32 etichette con tanto Brunello di Montalcino, tanta Bolgheri e tanti Supetuscans), un po' meno Piemonte (16 etichette per lo più di Barolo) e un bel po' di Veneto, anche a omaggiare la regione ospitante (e poi c'è il boom del Prosecco a trainare il vigneto Veneto). Assolutamente sottodimesionate rispetto alle possibilità la Lombardia, che vanta almento tre distretti di eccellenza (Franciacorta, Valtellina e Oltrepò Pavese) ma spunta con solo quattro etichette; il Friuli-Venezia Giulia con due etichette; la Sicilia, con quattro etichette; in fondo anche l'Alto Adige, presente solo con quattro etichette una delle quali con il marchio dell'azienda veneta Santa Margherita. Ma la vera regione dimenticata è l'Abruzzo, terra di grandissimi Montepulciano e di sorprendenti Trebbiano, che però porta nella top 100 un solo vino, il peraltro sublime Montepulciano d'Abruzzo Villa Gemma di Masciarelli. Nella mappa a fianco abbiamo scelto un'azienda per regione tra quelle segnalate da WS.
Insomma, la fotografia del vino italiano d'eccellenza scattata dagli States è un po' mossa ma va osservata con attenzione. Perché negli ultimi anni di crisi è stato l'export a sostenere l'industria vitivinicola italiana: nel solo 2013 si è registrato un aumento delle esportazioni del 7,3 per cento in termini di valore. Un dato reso ancora più clamoroso tenendo conto della diminuzione del 4,4 per cento in termini di volume. Ciò significa che esportiamo meno vino ma molto più di qualità. E questa non può che essere una buona notizia. Il boom delle esportazioni compensa ampiamente il calo del depresso mercato interno, portando il saldo medio a un +4,8 per cento del fatturato, in controtendenza - come rileva uno studio di Mediobanca - con le performance degli altri settori trainanti del made in Italy, quello alimentare (+0,3 per cento) e quello manifatturiero (-0,3). Gli Usa sono il primo mercato dei vini italiani, con un valore dell'export di 1,07 miliardi di euro, davanti a Germania (1,02), Regno Unito (0,62), Svizzera (0,31) e Canada (0,28), anche se le maggiori performance in termini di crescita si verificano nei mercati nuovi o seminuovi come la Russia (+14,4 per cento).
La parte del leone nel mercato enologico la fanno naturalmente i grandi gruppi, primo fra tutti le Cantine Riunite-Giv, che conta marchi come Melini, Nino Negri, Bigi, Bolla e Fontana Candida e che vanta un fatturato di 534 milioni (+4,2 per cento sul 2012), collocandosi al settimo posto a livello mondiale. Seguono la Caviro (327 milioni e +15,2), la divisione vini della Campari (228 milioni, +15,8) e la Antinori (166 milioni, +5,5) che supera la cooperativa trentina Mezzacorona (quinta a 163 milioni, +1,7).
A Vinitaly si parlerà anche di vino e grande distribuzione, con un convegno previsto nella giornata di lunedì. Gli ultimi dati relativi al primo bimestre 2014 sono incoraggianti, con un aumento delle vendite di vino in supermercati e ipermercatio del 3 per cento rispetto al 2013. Una piccola inversione di tendenza che potrebbe essere la rondine che fa la primavera del mercato interno.

Il cui inverno è durato anche troppo.

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