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I figli tiranni di casa Lo stabilisce la legge

Giusto parificare nati nel matrimonio e naturale. Ma la norma ha un bico: ora i genitori devono rispettare ogni inclinazione degli eredi. Pure le peggiori

I figli tiranni di casa Lo stabilisce la legge

C'è una nuova legge di cui pochi parlano, e che, invece, cambia significativamente gli equilibri della famiglia. Ad Assisi, c'è stato finalmente un bel convegno. Era organizzato dall'Università di Perugia e dal Professor Antonio Palazzo, grande studioso del diritto civile e in particolare della filiazione. Importanti giuristi (tra gli altri Serio, De Nunzio, Treggiari, Tizzi, Palazzolo, Stefanelli) si sono confrontati e hanno discusso le novità.

La legge è la 219 del novembre 2012, che ha finalmente reso uguali tutti i figli, che ora non potranno più essere definiti naturali, legittimi o incestuosi. Perché, per legge, tutti i figli sono uguali. Figli e basta.

Fino a oggi la discriminazione dei figli è stata garantita da un diritto di famiglia sordo all'evoluzione della società e alla rivoluzione dei sentimenti. La Costituzione ha dovuto aspettare 65 anni per vedere sancito il principio solenne «tutti i figli hanno lo stesso status giuridico». Malgrado la tanto osannata riforma del diritto del 1975, che aveva lasciato non riconoscibili i figli incestuosi, privi di parenti quelli nati fuori dal matrimonio, e due diversi Tribunali per decidere gli affidamenti.

Ora con la parificazione, meglio sarebbe forse stato dire e scrivere «unificazione», tutti i figli, anche quelli una volta detti «naturali» e «incestuosi», hanno zii, nonni e cugini e partecipano alla successione ereditaria. Per capire bene questo aspetto, come tanti altri, però, bisognerà avere la pazienza di aspettare i risultati dell'amplissima delega data dalla legge al governo, in forza della quale dovranno essere emessi numerosi decreti destinati a regolare, per esempio, le prove della filiazione, la disciplina sulla presunzione di paternità e sul riconoscimento, ma anche le regole per l'ascolto del minore e il nuovo senso della responsabilità genitoriale. È dunque censurabile la dilatazione temporale tra l'entrata in vigore della nuova legge e i tempi per l'emanazione degli incerti decreti legislativi. Così come il legislatore ha perso l'occasione di intervenire sulla questione cognome. La Corte costituzionale aveva già scritto, nel 2006, che il sistema di «attribuzione del cognome è retaggio di una concezione della famiglia non certo coerente con i principi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna».

Il silenzio della nuova legge sul punto stride con le ragioni della riforma: se c'è uguaglianza tra i figli, perché non unificare il sistema di attribuzione del cognome (per esempio facendolo decidere ai genitori) invece di lasciare che i figli nati nel matrimonio assumano quello paterno e gli altri quello del genitore che per primo li riconosce?

Fatto sta che questa legge non è meravigliosa: con la criticità del rinvio al governo, con le solite omissioni sintomo di sciatteria a monte, con la discriminazione residuale di due diversi Tribunali competenti a decidere le questioni inerenti la potestà e due diverse procedure per sentenziare sull'affidamento. Per di più ha rivoluzionato gli equilibri familiari. Invece, cioè, di garantire effettiva parità di trattamento a tutti i figli, dovunque nati, ha valorizzato il ruolo dei figli e soppiantato quello dei genitori. Ha previsto cioè un vero e proprio statuto del figlio in quanto tale. Nel nuovo articolo 315 bis, i doveri verso i genitori sono indicati al quarto posto, mentre il figlio ha diritto non solo al mantenimento (senza limiti di età), all'educazione e all'istruzione, ma anche di essere assistito moralmente, così esasperando la, già pesante, responsabilità genitoriale di una maggiore attenzione psicologica alle esigenze del minore, le inclinazioni naturali e le aspirazioni del quale devono essere «rispettate»: in precedenza se ne doveva solo «tener conto».

Un mutamento d'approccio non irrilevante, giacché ciò che restava della concezione gerarchica e autorevole della famiglia è stato totalmente travolto da una forza centripeta «bambinocentrica».

Vale a dire: se la figlia tredicenne vuole partecipare alla selezione delle veline, se il figlio vuole un tatuaggio, se l'adolescente ha l'aspirazione di diventare campione di videopoker, il genitore deve rispettare la volontà del figlio, cioè deve aderire alle richieste. Per di più, in caso di separazione, o di procedure che lo riguardino, il figlio ha il diritto inviolabile di essere ascoltato. E se poi, a trent'anni, ha voglia di riflettere e di non lavorare, i genitori devono mantenerlo e rispettarne le esigenze.

Giusto dunque che le colpe dei padri (e delle madri!) non debbano ricadere più sui figli e che quindi vadano archiviati aggettivi come illegittimi, adulterini, irriconoscibili.

Tuttavia, non può passare sotto silenzio il fatto che questa nuova legge ha fondato una sorta di dittatura dei figli, diventati per legge praticamente ingovernabili, con diritto d'indirizzo della famiglia e con diritto di voto risolutivo in ogni situazione vitale. Ottimo impulso al più efficace controllo delle nascite!

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