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I quasi ministri della vigilia che rimangono senza poltrona

Delusione bipartisan per chi era entrato tra i papabili e alla fine non ha avuto delega. Da D'Alema a Brunetta, dalla Gelmini ad Amato ecco quelli che non ce l'hanno fatta

I quasi ministri della vigilia che rimangono senza poltrona

Roma - È il governissimo dei trombatissimi. Mai un esecutivo aveva preso il mare circondato da tanti corpi galleggianti, forse anche perché le larghe intese hanno almeno raddoppiato il novero dei ministrabili, moltiplicando inevitabilmente i delusi. Alcuni dei quali davvero eccellenti.
Prendete Massimo D'Alema. Nelle ultime settimane si è parlato di lui come presidente della Repubblica, poi come possibile premier, poi come ministro degli Esteri ideale, dotato dell'identikit perfetto per la Farnesina. Ebbene, eccolo in un sabato cupo e afoso fare la fine della sora Camilla, quella che in vernacolo romanesco «tutti la vonno e nessuno la pija». Lui, Baffino, cantore impopolare delle larghe intese, del dialogo tra centrosinistra e centrodestra, nel giorno in cui il suo sogno politico si realizza resta appiedato, in un capolavoro di incompiutezza che ne fa davvero il numero uno dei talenti inespressi della politica italiana. Però c'è da dirlo: grandioso.
Nel Pd gli scontenti sono a mazzi: c'è Pier Luigi Bersani, il Tafazzi della politica italiana, quello che al concorso per gli sfigati arriva secondo, perché di vincere proprio non se ne parla. C'è Stefano Fassina, enfant prodige del pensiero economico democrat e perciò dato alternativamente all'Economia e allo Svilippo, che inizia a immalinconirsi in attesa che la lotta diventi governo. C'è Luciano Violante, uno dei salvatori della Patria in servizio permanente effettivo della gauche in velluto, dato come guardasigilli naturale e finito in panchina. C'è Sergio Chiamparino, a cui tutti i quotidiani avevano già dato le chiavi del ministero del Lavoro e che invece ha dovuto consegnarle al signor Istat Enrico Giovannini. C'è Ermete Realacci, a cui è sfuggito in extremis in dicastero dell'Ambiente, a cui si sentiva predestinato. C'è Guglielmo Epifani, che sperava di diventare il re del Welfare e si trova a gestire il suo malessere. C'è Francesco Boccia, indicato come possibile sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ma che almeno può consolarsi con l'entrata nella squadra di governo della moglie Nunzia De Girolamo (che però è del Pdl). Non è trombato ma quasi anche Dario Franceschini, a cui ieri hanno sfilato il portafogli: sembrava diretto alla Difesa, si è svegliato declassato ai Rapporti con il Parlamento, ministero-scartina, diciamoci la verità.
Quella di Giuliano Amato sembra la stessa parabola di D'Alema. Anche lui ha partecipato alla lunga volata per il Quirinale, finendo come finiscono spesso nello sport quelli partiti troppo presto: superato e dimenticato. Poi sembrava fatta per un governo-Amato di emergenza nazionale. Alla fine è stato insignito fino a ieri di un ministero ad honorem, l'Economia. Ma gli uomini per tutte le stagioni non vanno più di moda.
Ma anche nel Pdl si aggirano anime inquiete. Erinni. La più arrabbiata è Mariastella Gelmini, che al ritorno all'Istruzione ci aveva fatto la bocca. Pur furibonda trova il fair play per recapitare un augurio di un buon lavoro «alle mie giovani colleghe di partito». Tra le quali non c'è Annamaria Bernini, che aveva pure la doppia opzione: Agricoltura o Affari Europei? Doppia sconfitta, doppia rabbia. E Mara Carfagna? Il suo bel sorriso è da ieri velato di malinconia dopo essersi vista sfilare da Carlo Trigilia, il più carneade dei neoministri, la Coesione territoriale. In mezzo a tanta delusione al femminile, c'è quella tutta maschile di Renato Brunetta, sulla cui partecipazione al governissimo si era aperto un caso nei giorni scorsi. Nisba. E nisba pure per Paolo Romani: si era fatta l'ipotesi dello Sviluppo, naufragata con molti meno rimpianti.
Anche al centro c'è chi soffre. Non parliamo di Mario Monti, già Professore che trasformava in oro tutto ciò che toccava e ora perdente di (in)successo. Però Ilaria Borletti Buitoni, deputata di Scelta Civica, era data dai bookmaker come quasi certa ai Beni culturali e ora starà maledicendo chi l'ha tanto illusa. Uguale destino per Michele Vietti, componente laico del Csm ed esponente dell'Udc entrato in conclave da Papa e uscito ancora cardinale: il ministero della Giustizia è finito ad Anna Maria Cancellieri. Infine Benedetto Della Vedova, parlamentare di Fli e quindi specie in via di estinzione, come tale protetto come un panda e accreditato del ministero dell'Ambiente. Prego ripassare.

Tempi duri per i panda.

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