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I test di Bruti Liberati spaccano la Procura: non facciamo le spie

Scontro ai vertici del Palazzo di Giustizia di Milano. Spataro guida i magistrati contrari al questionario anonimo sul funzionamento degli uffici giudiziari

I test di Bruti Liberati  spaccano la Procura:  non facciamo le spie

Milano - Affermazione numero 21: «Sono orgoglioso di lavorare per la Procura di Milano». Affermazione numero 41: «Provo soddisfazione per il lavoro che svolgo». Affermazione numero 22: «Il Procuratore e il Procuratore aggiunto ci aiutano a comprendere gli obiettivi della Procura». E via di questo passo. É il questionario che dieci giorni fa il capo della Procura milanese, Edmondo Bruti Liberati, ha distribuito a tutti i suoi settantacinque sostituti, invitandoli a indicare con un voto da uno a cinque in che misura si riconoscessero in ogni affermazione. Si tratta di un modulo di valutazione dell’efficienza dell’ufficio, realizzato sulla base di quelli in voga da tempo nelle aziende private, e finalizzato - nelle intenzioni di Bruti - a «scegliere le iniziative di miglioramento da realizzare in via prioritaria». Tutto bene? Mica tanto. Perché la circolare del Procuratore che accompagnava il formulario garantiva che «il metodo di rilevazione tutela la privacy dei rispondenti», «per questo non vengono richiesti dati identificativi». Tradotto in parole povere, si tratta di schede compilate in forma anonima.

Apriti cielo. L’intenzione del procuratore era probabilmente buona, nel senso che puntava a ottenere risposte realistiche, senza timori o piaggerie. Ma quello che in un’azienda privata è prassi, può valere anche in una struttura particolare come una Procura della Repubblica? Le denunce anonime, è vero, esistono da sempre. Ma il modello di comportamento che la Procura indica ai cittadini è quello di assumersi le proprie responsabilità con nome e cognome.
Così contro l’iniziativa di Bruti è partito il mugugno di una parte di sostituti. E a prendere la parola pubblicamente, sulla mailing list della Procura, è stato uno dei magistrati col peso specifico maggiore all’interno del palazzaccio milanese: Armando Spataro, oggi semplice sostituto, ma per otto anni procuratore aggiunto, memoria storica dell’ufficio. Che è partito a testa bassa spiegando che se lui ha qualcosa da dire su come funziona la Procura milanese lo dice a viso aperto e senza bisogno di nascondersi dietro l’anonimato.

Una parte dei moduli distribuiti dal Procuratore è stata regolarmente consegnata all’anticamera del capo, ma un altro po’ sono finiti nel cestino. Così resteranno in parte inesplorati temi come «in Procura non ci sono differenze tra uomini e donne», «Nell’ambito del mio lavoro mi capita di avere paura per la mia sicurezza personale», «I rapporti tra colleghi sono improntati al rispetto reciproco». E quella che era un’iniziativa nata con le intenzioni più nobili ha finito con il segnare un ulteriore elemento di tensione in una Procura che non sta vivendo il più sereno dei suoi momenti, perché la riorganizzazione e la rotazione degli incarichi - in parte previste obbligatoriamente dalla legge, in parte volute da Bruti - stanno creando più di un malumore tra pm che non sempre si sentono valorizzati fino in fondo.

Tanto che ieri pomeriggio è stata necessaria un’assemblea di tutti i sostituti per discutere del futuro di quella che un tempo era la «gioiosa macchina da guerra» di Francesco Saverio Borrelli, e che oggi mostra gli inevitabili segni del tempo: perché gli anni passano, i magistrati invecchiano, quelli che un tempo erano timidi pm di prima nomina oggi si sentono legittimati a dire la loro.

E insomma fare andare tutti d’accordo diventa difficile.

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