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Incita i preti ad essere «pastori con l'odore delle pecore»

Incita i preti ad essere «pastori con l'odore delle pecore»

Doveva essere il Papa che partiva dalla Curia, invece Francesco sta ribaltando la Chiesa spostandosi nelle periferie. È una delle parole più ricorrenti nel suo magistero iniziale: la Chiesa deve andare verso «le periferie geografiche ed esistenziali», aveva detto nel segreto delle congregazioni cardinalizie pochi giorni prima di essere eletto Papa; «custodire coloro che sono alla periferia del nostro cuore», aveva raccomandato il giorno dell'insediamento; «è buono uscire da se stessi, andare alle periferie del mondo e dell'esistenza per portare Gesù!», aveva invitato la domenica delle Palme. E ieri, nell'omelia della messa mattutina del Giovedì santo, le periferie sono state un tema centrale.
Per Bergoglio le periferie sono l'opposto di quella che egli chiama la «Chiesa autoreferenziale», quella ripiegata su se stessa, fatta di «introspezioni reiterate» se non, addirittura, di «corsi di autoaiuto»: la forza della fede, «il potere della grazia», così ha detto, «si attiva e cresce nella misura in cui, con fede, usciamo a dare noi stessi e a dare il Vangelo agli altri». Le periferie sono i luoghi dove si soffre, «c'è sangue versato, c'è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni». Ma sono anche le frontiere «dove il popolo fedele è più esposto all'invasione di quanti vogliono saccheggiare la sua fede».
La Chiesa di Bergoglio è presente nei luoghi dove la gente vive, lavora, soffre. Dove c'è il popolo, altra parola che ieri è echeggiata più volte. Papa Francesco ha un'altissima considerazione del popolo: lo si è visto appena eletto, quando ha chiesto al mare di folla in piazza San Pietro di pregare per lui, ed egli si è curvato profondamente davanti a tutti. Ha detto ieri: «La gente ci ringrazia perché sente che abbiamo pregato con le realtà della sua vita di ogni giorno, le sue pene e le sue gioie. Ed è incoraggiata ad affidarci tutto quello che desidera arrivi al Signore: "padre, preghi per me", "mi benedica". La supplica del popolo di Dio».
Per questo il Papa chiede ai suoi preti di uscire, aprire le chiese, lanciarsi nella realtà: «È bene che la realtà stessa ci porti ad andare là dove ciò che siamo per grazia appare chiaramente come pura grazia, e risultano feconde le reti gettate unicamente nel nome di colui del quale noi ci siamo fidati: Gesù». Preti pescatori, preti pastori «con l'odore delle pecore». Odore inconfondibile di terra, fango, letame che non ci si toglie di dosso; odore di fatica e lavoro, che impedisce di accontentarsi, intristirsi, diventare «gestori che hanno già la loro paga perché non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore».
Una Chiesa di persone vive nei luoghi dove si vive. Di testimoni. Non è un caso che proprio ieri Papa Francesco abbia autorizzato la beatificazione di 63 persone, e la maggior parte sono martiri per la fede uccisi negli ultimi cent'anni: vittime della guerra civile spagnola del 1936, del nazismo e dei regimi comunisti dell'Europa dell'Est, e anche un seminarista quattordicenne di Reggio Emilia, Rolando Rivi, riconosciuto «martire in odio alla fede».
Rivi fu sequestrato, torturato e giustiziato nel 1945 dai partigiani rossi; ora la sua tomba è meta di pellegrinaggi. Tra i nuovi beati c'è anche don Olinto Marella, amico di Romolo Murri e come lui sospeso a divinis per sospetto di «modernismo» e poi riabilitato: un prete soprannominato «il barbone di Dio» che visse a Bologna e dedicò la vita ad assistere orfani e baraccati, aprì mense dei poveri e laboratori artigiani.

Esempi che ora Papa Francesco addita a tutto il mondo.

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