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Gli industriali licenziano il governo

Gli industriali licenziano il governo

RomaGiorgio Squinzi si definisce «un uomo di sport». E in questa veste assegna «un cartellino giallo» al governo. Oltre a essere il patron del Sassuolo, il presidente della Confindustria ama le due ruote: andava pure in bicicletta con Romano Prodi. E non è un caso che i due condividano l'analisi nei confronti del governo Letta.
Il leader degli industriali chiede «un cambio di passo deciso» al governo. «Oppure è meglio andare a votare», consiglia. Deve avere «più coraggio - dice all'Annunziata a In 1/2 ora - Perché per grazia divina la condizione economica non cambia». Con formule lessicali diverse è lo stesso consiglio che Romano Prodi fa al premier, «suo» sottosegretario alla presidenza del Consiglio. In un'intervista al Corriere della Sera dice che «deve tentare una sortita. Deve prendere iniziative anche contestate».
In realtà - aggiunge Squinzi - «questo governo, che abbiamo sostenuto e appoggiato all'inizio, è troppo timido nel dare soluzioni e nello spingere il Paese nella direzione giusta». E cita il caso della riduzione del cuneo fiscale. «Avevamo chiesto 10 miliardi; cinque ci sembravano possibili. Ne abbiamo ricevuto appena uno».
«La crisi è dietro le spalle», sostiene Letta ad Abu Dhabi. Con questi ritmi di crescita, però - gli risponde Squinzi - torneremo ai livelli pre-crisi, cioè al 2007, solo nel 2021. «Quest'anno il Centro studi di Confindustria prevede una crescita dello 0,7%: numeri che non ci fanno guardare con ottimismo al futuro».
Nel Golfo Letta dice di non aver letto l'intervista di Romano Prodi. In compenso, risponde a Squinzi. «È bene - osserva - che ognuno faccia il proprio lavoro al meglio; e, quindi, mi aspetto - come sono certo che avverrà - che Confindustria aiuti il pil del Paese».
In realtà, l'attività di governo (oltre agli impegni internazionali del presidente del Consiglio) è ferma. Bloccata e, come non mai, subordinata dai lavori parlamentari sulla legge elettorale. Enrico Letta, dopo averlo verificato con le forze di maggioranza, ha elaborato un nuovo programma di governo. L'unico partito con cui non l'ha discusso è proprio con il suo partito, il Pd.
Matteo Renzi ha fatto chiaramente capire che non prende in considerazione alcun nuovo programma di governo, se prima la Camera non approva la riforma elettorale. Così, ha cancellato le direzioni di partito che avrebbero dovuto discutere il tema caro a Letta. Di riflesso, il premier non può presentare alle Camere il programma del nuovo governo se prima non lo esamina con l'azionista di maggioranza della coalizione, il Pd.
Nella sostanza, il governo Letta è ostaggio di questa situazione di surplace politica. E, per certi aspetti, la sta cercando di usare a suo vantaggio. Se Montecitorio dovesse allungare i tempi di approvazione della riforma elettorale a fine mese, il governo potrebbe presentare il nuovo programma (e con esso la nuova squadra) a marzo. Quindi a ridosso dell'ultima finestra utile per far coincidere le elezioni anticipate con quelle Europee di maggio.
Superata quella finestra, il premier potrebbe avviare un Letta-Bis indipendentemente dal fuoco «amico» che gli potrebbe piovere contro da Renzi. Con un piccolo particolare. Il governo ha già sfruttato un mese di tempo, gennaio, senza lanciare misure per la crescita. Se dovesse andare il porto l'operazione, i primi interventi arriverebbero in aprile.

Sempreché il 1° marzo Eurostat fotografi il deficit 2013 sotto il 3%.

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