Cronache

Joseph e Jorge, così diversi e così vicini

Delle diversità tra i due si è già letto molto, meno di quello che li accomuna

Joseph e Jorge, così diversi e così vicini

Il Papa emerito e il Papa regnante ieri erano uno vicino all'altro, e nella scena del predecessore che insegue il successore indicandogli il posto a lui riservato mentre Francesco si inginocchia al suo fianco c'era iconograficamente il tratto che più li accomuna: l'umiltà. La sera dell'elezione in Vaticano colsi questo commento: «Benedetto XVI ci ha stupito per la sua umiltà, Francesco, se possibile, è ancora più umile». A Castel Gandolfo, così ha salutato il suo predecessore: «Lei ci ha dato un grande esempio di umiltà, tanta umiltà, e tenerezza, durante il suo pontificato». Delle diversità tra i due si è già letto molto, meno di quello che li accomuna. Chi sottolinea il Francesco «sociale» contro il Benedetto «teologico» dimentica che la prima enciclica del Papa tedesco è stata un'enciclica «sociale» sulla natura di Dio come «carità». Il Papa degli ultimi, parlando ai diplomatici, ha ricordato «la povertà spirituale dei nostri giorni, che riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi» e l'ha chiamata «la dittatura del relativismo». Chi aspetta da Francesco il rinnovamento della curia dovrà convenire che la strada per operare in tal senso gli è stata spianata da Benedetto XVI: se da cardinale Bergoglio attaccò «quelle persone che attraverso la Chiesa cercano di tagliare traguardi personali», Ratzinger da Papa tuonò contro il carrierismo degli ecclesiastici. Ad Aparecida nel 2007 hanno parlato entrambi alla Conferenza dell'episcopato sudamericano. L'America latina è stato il primo banco di prova di Ratzinger prefetto della fede. Nell'opposizione alla teologia della liberazione trovò in Bergoglio un grande alleato, la prova vivente che si possono amare e aiutare i poveri senza fare di Cristo un guerrigliero e della Chiesa «una pietosa ong». Di Aparecida val la pena segnalare i passaggi «economici» dei due discorsi, senza citare l'autore. La globalizzazione «comporta il rischio dei grandi monopoli e di trasformare il lucro in valore supremo… perché continuano ad aumentare i settori sociali che si vedono oppressi sempre più da un'enorme povertà o perfino depredati dei propri beni naturali», infatti «cresce costantemente la distanza tra poveri e ricchi e si produce un'inquietante degradazione della dignità personale». In questo contesto «la Chiesa è avvocata della giustizia e dei poveri perché non si identifica coi politici né con gli interessi di partito». La «globalizzazione, come ideologia economica e sociale, ha influenzato negativamente i settori più poveri. Le ingiustizie e le disuguaglianze stanno diventando sempre maggiori e profonde». Non si tratta, però, solo di povertà fisica, «la globalizzazione ha significato un rapido deterioramento delle radici culturali, con l'invasione di altre tendenze culturali, il secolarismo ha prodotto una crescente deformazione etica, un aumento progressivo del relativismo morale». Allora «la sfida radicale e avvolgente che abbiamo davanti è la profonda crisi di valori della cultura». Dove finisce Benedetto e inizia Francesco? Forse ha ragione Chesterton che, parlando dei due santi omonimi, disse: ci volevano due monaci per ridare slancio alla Chiesa, «Francesco sparse quello che Benedetto aveva accumulato».

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