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L’Ingegnere sbaglia i conti: evasi 225 milioni

L’Ingegnere sbaglia i conti: evasi 225 milioni

Sono passati vent’anni e più ma la guerra di Segrate fa ancora vittime. Da sempre il Fisco contesta il modo in cui il gruppo l’Espresso di Carlo De Benedetti assorbì, cessate le ostilità con il Cavaliere, il quotidiano la Repubblica. Ora arriva, durissima, la sentenza della commissione tributaria regionale di Roma. Una mazzata per l’Ingegnere che dovrà pagare la bellezza 454,7 miliardi di lire, ovvero 225 milioni di euro. Una cifra colossale. Il conto viene presentato ben 23 anni dopo i fatti: la guerra fra De Benedetti e Berlusconi per la Mondadori, la spartizione dell’impero con la mediazione del potere politico, le polemiche mai andate in soffitta. E poi le accuse di corruzione rivolte al management di Fininvest con la sentenza della magistratura di Milano che ha condannato il Biscione a pagare alla Cir dell’Ingegnere un risarcimento astronomico: 560 milioni di euro. Ora però sono le aziende di De Benedetti a rimanere impigliate in tutt’altro procedimento che ha portato a galla plusvalenze non dichiarate per 225 milioni di imposte.
Al centro della querelle le operazioni compiute da De Benedetti subito dopo aver raggiunto l’intesa con Berlusconi. È il percorso tortuoso seguito dai tecnici dell’Espresso a sollevare i sospetti degli 007 del Fisco. La prima mossa a finire nel mirino è la fusione per incorporazione dell’editoriale la Repubblica nella Cartiera di Ascoli. Per realizzarla vengono chiamati in causa tre soggetti: l’editoriale la Repubblica, la Cartiera di Ascoli e l’editoriale l’Espresso, tutti parte della galassia Cir. Perché viene messo in moto questo meccanismo?
La risposta dei giudici tributari è tranchant: «Dagli atti emerge con sufficiente chiarezza che tale operazione non era assistita da valide ragioni economiche». E allora? «E allora - si legge nel verdetto - se ne deve dedurre che la stessa non aveva altro scopo se non quello di ottenere un risparmio di imposta integrando così gli estremi della fattispecie elusiva di cui all’articolo 10 della legge 408/90, avendo le società partecipanti alla fusione, Cartiera e Repubblica, esposto “fraudolentemente“ ragioni economiche che solo in apparenza potevano giustificarla».
Sull’avverbio “fraudolentemente“ i giudici si dilungano per pagine spiegando che «compito del giudice non è quello di perdersi in un’astratta definizione di frode o fraudolenza, ma di verificare in concreto, nei fatti, se l’operazione di fusione sottoposta al suo vaglio sia o non sia sostenuta da “valide ragioni economiche“». E le ragioni economiche per i giudici non stanno in piedi. Anzi, tutti i passaggi, a cominciare dalla quotazione in Borsa di Repubblica, appaiono dettati da altre esigenze, di natura, semmai, finanziaria: «Le ragioni economiche offerte in valutazione non risultano idonee, per essere anche contraddittorie e scarsamente convincenti, a raggiungere quel particolare “grado“ di validità richiesto dalla legge» per concedere i benefici previsti dalla norma.
Insomma, siamo davanti a plusvalenze non dichiarate e le plusvalenze devono essere tassate per complessivi 440.824.125.000 lire. Altri 13 miliardi e 972 milioni di lire riguardano invece il «recupero di costi assunti come indeducibili». Di qui il totale di 454,7 miliardi. «La sentenza in esame - ribatte l’avvocato Livia Salvini del gruppo Espresso - si iscrive nel filone giurisprudenziale che rivendica all’Agenzia delle entrate e ai giudici il potere di sindacare le scelte economiche e di strategia societaria dei contribuenti». In sostanza, la commissione tributaria avrebbe bacchettato le legittime scelte strategiche di De Benedetti. Per il legale dell’Espresso la commissione si sarebbe spinta troppo in là, esercitando «un potere che lo stesso legislatore sta prevedendo di arginare nell’ambito della delega sulla riforma fiscale, prendendo atto dell’abnormità di pronunce» che azzerano i vantaggi fiscali per aziende e società.
L’Espresso, che aveva vinto il match in primo grado, prova a riaprire la partita con un ricorso in Cassazione. Intanto, si dovrà attrezzare per pagare 225 milioni al Fisco. Un po’ meno della metà di quelli che la Fininvest è stata chiamata a versare a De Benedetti per la corruzione di un giudice nel corso della guerra di Segrate. Anche in quel caso la contesa si è spostata in Cassazione. E dunque a quasi un quarto di secolo dai fatti, i guai, per gli uni e per gli altri, non sono ancora finiti.


E le spese, pure quelle, salgono vertiginosamente: nelle ultime righe della sentenza la commissione tributaria condanna infatti l’Espresso a pagare 500mila euro per «tutti i gradi di giudizio».

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