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L'arrocco del Cavaliere mette in crisi la sinistra

Berlusconi ha calcolato le mosse da scacchista agile e imprevedibile che dà il meglio quando è sotto il massimo stress: nel Pd Zanda furibondo e Renzi fuori dai giochi

L'arrocco del Cavaliere mette in crisi la sinistra

E poi tutti a chiedersi: perché l'ha fatto, che cosa gli è passato per la testa, quando è che ha cambiato idea, che cosa è successo nella sua mente. Dal punto di vista politico possiamo dare diverse e valide spiegazioni. Ma sono convinto che ci sia di mezzo anche la sua personalità e la sua emotività.
Quando Berlusconi ha preso la parola appariva provato. Una senatrice incontrata nel Salone Garibaldi del Senato me lo descriveva come «devastato». Non doveva aver dormito molto: alle due del mattino stava ancora litigando per telefono con Formigoni e non era l'ultima chiamata. Non poteva certo avere l'aspetto roseo e disteso del principe di Condé prima della battaglia di Rocroi, come ce lo racconta Manzoni. Berlusconi si era da poche ore reso conto che stava perdendo truppe. E un conto è perdere alleati come Casini e Fini, e un altro perdere la guardia del Presidente. Deve essersi immerso in un calcolo razionale dopo essersi praticato un'iniezione di coraggio in dose da cavallo.
Di qui la decisione: arretrare fino a raggiungere lui il pezzo del suo esercito che annunciava di sbandarsi, per potersi schierare inaspettatamente insieme a loro. Un colpo di coda che ha spiazzato tutti. Enrico Letta, udendo le ultime parole di Berlusconi che annunciava la fiducia, ha bisbigliato «È un grande». Non era contento, perché sperava di essersi liberato di lui e voleva presentarsi come un comandante con truppe nuove.
Con il suo colpo di coda, Berlusconi si è presentato fra gli arruolati, ma con il vecchio grado di maresciallo sulla manica con cui aveva lanciato l'alleanza e la coalizione. Sapeva che questa sortita avrebbe fatto impazzire di rabbia il Pd e in particolare l'ala guidata dal capogruppo Luigi Zanda, animata da un antiberlusconismo da guerra fredda.
Quando si vanno a tirare le somme dell'operazione che ha mantenuto l'Italia e l'Europa sulle corde, Berlusconi ha anche fatto fuori Matteo Renzi: la fiducia blinda il governo, rilancia Letta e lo lancia almeno fino al 2015. Il che significa che Palazzo Chigi ha tirato su il ponte levatoio e non accetterà sostituzioni perché è quasi sicuro che non ci saranno elezioni. Dunque Renzi non è più un candidato al governo. Può sostituire Epifani alla segreteria, cosa di cui a lui non importa nulla. O fa il primo ministro, o tanto vale che resti a Palazzo Vecchio.
Berlusconi aveva pensato a questo effetto collaterale? In lui giocano fattori emotivi combinati con in suoi calcoli da scacchista agile e imprevedibile anche quando è sotto il massimo stress. Il primo è il piacere di essere leader non soltanto di un elettorato vasto come un regno, ma anche di una macchina sia da guerra che da governo. Ha pensato e pensa di poter seguitare a muovere i meccanismi di quella macchina anche quando sarà dimezzato dalla condizione di condannato a domicilio. Sa anche che il suo regno elettorale in queste settimane ha sofferto una crisi d'incomprensione a causa delle scelte convulse e lui vive il rapporto con il suo elettorato in maniera anche fisica, viscerale, spesso totalizzante.
Quando si è reso conto del fatto che poteva perdere il controllo di una creatura in cui si è sempre specchiato come un alter ego, ha capito che doveva per forza andare a recuperare i suoi uomini cambiando bruscamente marcia e tirando il freno a mano, con un testa-coda tipico del suo carattere di stuntman. La scelta deve essergli costata parecchio, ma era sicuro di poter ricucire lo strappo: del resto, Alfano si è affrettato a definire «inevitabile ma non irreparabile» la rottura avvenuta. Così ha gettato la sua inattesa testa di ponte e si è presentato dall'altra parte, a sorpresa. A Enrico Letta non è rimasto che esprimere ammirazione insieme a un certo fastidio.

Berlusconi aveva sparigliato di nuovo ed era tornato protagonista rubandogli la scena.

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