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Mieli svela il golpe del '94: "L'avviso ci arrivò alle 14 fu la procura di Milano"

Mieli rivela: la notizia dell'avviso di garanzia arrivò a lui, otto ore prima che Berlusconi ricevesse l’avviso, dall’interno del palazzo di giustizia di Milano

Mieli svela il golpe del '94: "L'avviso ci arrivò alle 14 fu la procura di Milano"

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L'assalto dei Pm

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Dice Paolo Mieli: «Anche io vivevo nella retorica di Mani Pulite. Quella cosa insinuò per la prima volta un dubbio che mi è rimasto, lo dico nel giorno della morte di Berlusconi, di avere fatto una cosa che non è tutta luccicante».
Sono le undici di lunedì sera, Silvio Berlusconi è morto alle 9,30 del mattino all’ospedale San Raffaele, su La7 lo «speciale Mentana» ripercorre i trent’anni in cui la storia d’Italia si è intrecciata alla saga del Cavaliere. In studio c’è un solo ospite, l’ex direttore del Corriere della sera Paolo Mieli. E lì, senza preavviso, avviene il patatrac.
Perché dopo quasi due ore di trasmissione Enrico Mentana affronta un tema spinoso, che vide coinvolto Mieli direttamente: l’avviso di garanzia recapitato a Napoli nel dicembre 1994 a Berlusconi, allora presidente del Consiglio e impegnato in un vertice Onu.
L’avviso di garanzia finì in diretta sulla prima pagina del Corriere diretto da Mieli, scatenando le ire del premier.
L’origine della clamorosa fuga di notizie non è mai stata chiarita. Fino a lunedì sera, quando Mieli rivela: la notizia arrivò a lui, otto ore prima che Berlusconi ricevesse l’avviso, dall’interno del palazzo di giustizia di Milano.

Se Mieli fosse stato interrogato avrebbe detto a che ora aveva saputo dell’avviso. Ma nessuno lo interrogò mai. Per forza: anticipando alle due del pomeriggio l’orario in cui gli arrivò la notizia, Mieli esclude qualunque altra pista possibile, a partire da quella fomentata dalla Procura - che indicava invece in Berlusconi o nel suo entourage la «fonte» del quotidiano milanese.
Ma alle 14 gli unici a sapere quanto stava accadendo erano il procuratore Francesco Saverio Borrelli e i suoi. Fine del giallo, insomma.
Chiede Mentana a Mieli: quante volte sei stato interrogato su quella fuga di notizie? «Mai - risponde secco il giornalista - i magistrati che indagavano non ritennero mai di chiamarmi e di chiedermi alcunché. È veramente strano». Che idea ti sei fatto, che non avevano motivo di interrogarti perché sapevano già chi ti aveva dato la notizia? «Detto in modo molto brutale è così. Non volevano sentire la mia versione. I miei avvocati mi hanno spiegato che potevo rifiutarmi di rispondere, io invece avrei risposto molto volentieri perché ci fu una cosa che mi diede molto fastidio, misero in giro la voce che a darci la notizia fosse stato Berlusconi perché in quell’atto mancava una cosa... Questo mi fece andare su tutte le furie perché io sapevo come era andata, non lo dirò qui fino in fondo ma solo che avevo saputo di quell’atto e conosciuto i suoi termini alle due di pomeriggio. Quindi l’unico posto da cui poteva essermi arrivato era il palazzo di giustizia di Milano.

Questo avrei detto sicuramente per una questione di orari. Gli avrei detto non solo che lo avevo saputo a quell’ora ma anche che a quell’ora ho riunito i miei giornalisti, tutti sanno che lo abbiamo saputo alle due, otto ore prima che arrivassero a Roma i carabinieri. Otto ore!».
Mieli non fa i nomi di chi dal palazzo avvisò il Corriere, anche se ovviamente li conosce. Ma quanto dice è sufficiente per fare luce definitivamente su uno dei capitoli più bui dell’attacco giudiziario a Berlusconi. «Questa mancata indagine mi ha sempre insospettito», dice. «Non mi chiamarono i giudici di Brescia, e nessuno di quelli del pool Mani pulite, con cui avevamo rapporti, mi avvicinò per chiedermi di capire come era andata, per sapere se era stato un loro collega, visto che se veniva dal palazzo di giustizia qualcuno doveva essere stato». Invece niente.
Mieli non è pentito dello scoop, anche se dice di avere fatto a Berlusconi «un torto grande», e che i rapporti con il leader di Forza Italia ne risentirono.
«Ti sei sentito utilizzato?», è l’ultima domanda di Mentana. «No, lo abbiamo fatto e abbiamo la coscienza a posto. Ma c’è un conto che non torna, qualcosa che non andava.

E prima o poi lo scoprirò».

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