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L'austerity ci è costata 230 miliardi di Pil

RomaL'austerity fa male all'economia, ma anche ai conti pubblici e all'occupazione. Il rigore imposto ai paesi dell'Unione europea, è la causa della recessione e anche della contrazione nelle entrate fiscali. È un atto di accusa contro gli eccessi del rigore quello lanciato ieri dalla Corte dei conti alla presentazione del Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica presentato ieri al Senato. Sempre a Palazzo Madama la Fiaip, la federazione degli agenti immobiliari ha calcolato che per colpa della stretta sul credito e dell'Imu si sono persi 500 mila posti di lavoro in quattro anni.
«L'intensità delle politiche di rigore adottate dalla generalità dei paesi europei è stata una rilevante concausa dell'avvitamento verso la recessione», si legge nel rapporto della Corte dei conti. I giudici contabili hanno quantificato la perdita di Pil negli anni acuti della crisi. Oltre 230 miliardi di euro nell'arco della legislatura 2009-2013.
Sul fronte dei conti pubblici le manovre si sono fatte sentire, ma solo perché hanno «consentito importanti risparmi di spesa, il cui livello è risultato nel 2012 inferiore di oltre 40 miliardi alle stime iniziali». Peccato che i sacrifici siano praticamente annullati; innanzitutto perché la spesa rispetto al Pil è rimasta invariata poi perché è stato mancato il pareggio di bilancio. Spiega la Corte: «Il cedimento del prodotto non ha permesso alcuna riduzione dell'incidenza delle spese sul Pil passata, nel triennio, dal 47,8 al 51,2 per cento». Poi, «l'adozione di una linea di severa austerità (oggi oggetto di critiche e ripensamenti)» non ha «impedito che gli obiettivi programmatici assunti all'inizio della legislatura fossero mancati». Alla fine della scorsa legislatura, è stato mancato il pareggio di bilancio con un indebitamento netto di quasi 50 miliardi più alto rispetto delle previsioni.
Anche la Corte dei conti registra il calo delle entrate fiscali dovuto al crollo del Pil. In cinque anni, dal 2009 al 2013, la perdita permanente di prodotto si è tradotta in una caduta del gettito fiscale anche superiore alle attese: quasi 90 miliardi in meno.
Allo stesso tempo la pressione fiscale è aumentata rispetto al 2009 di oltre un punto in termini di Pil. «La perdita permanente di prodotto - ha osservato il presidente della Corte Luigi Giampaolino nella prefazione al Rapporto - si è tradotta in una caduta del gettito fiscale ma non in una riduzione della pressione fiscale». Ora l'auspicio dei giudici contabili è che si punti sulla crescita. Ma non in deficit Servono «stimoli per crescere di più, non deroghe per spendere di più».
Alla presentazione del rapporto il ministro dell'Economia ha dato qualche indicazione sulle misure allo studio del governo.
Ad una domanda sull'Iva, il ministro ha risposto: «Dobbiamo concentrarci sugli investimenti». Segno che, nel borsino delle policy governative, le misure sull'Iva stanno perdendo quota a vantaggio degli incentivi all'occupazione e la riduzione del costo del lavoro.
Anche l'Imu ha un peso sull'occupazione. Insieme alla stretta sul credito, secondo la Fiaip, è costata mezzo milione di posti di lavoro al settore.

E un crollo delle compravendite del 25,7%.

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