Cronache

Lego, una seconda vita costruita coi mattoncini

Il colosso danese sembrava messo fuori gioco dal successo dei videogame Grazie a cinema, arte e supereroi ha riconquistato i bambini. E fa miliardi

Lego, una seconda vita costruita coi mattoncini

La vendetta è un piatto che va servito freddo. E, possibilmente, su un tavolo di mattoncini Lego. Le costruzioni più famose del mondo sembravano ormai dover crollare sotto il peso mastodontico dei tecno-games. Invece il «signor Lego» si è armato di spada, sfidando il drago della Playstation. E, come in una favola di Andersen (non a caso il vero nome del «signor Lego» e Christiansen), chi sembrava spacciato ha avuto la meglio; o, se preferite, non ha avuto la peggio. La «casetta» che noi tutti assemblavamo da bambini ha retto: anzi, si è trasformata in un villone. Ieri, sulla prima pagina del Financial Times, si analizzava un fenomeno che, ancor prima di essere di carattere economico, rappresenta una sorta di palingenesi ludico-sociale: la rinascita - o meglio, la rivincita - del gioco manuale su quello hi-tech variamente declinato. Ma, tra questi due mondi, sarebbe sbagliato pensare a un rapporto di contrapposizione. La Lego si è infatti salvata riuscendo a capire che la creatività del bambino si compone tanto dello spicchio «fisico», quanto dello spicchio «virtuale». Gli eredi di Ole Kirk Christiansen (lo storico «signor Lego», ideatore del logo nel '34) lo hanno capito, riuscendo a diversificare il prodotto che oggi costruisce il suo mercato globale non solo incastrando mattoncini colorati, ma anche attraverso una rete di prodotti alternativi. Risultato: dopo il periodo di crisi che nel quinquennio 2008-2012 aveva fatto pensare al collasso, l'azienda si è ripresa alla grande. Le cifre sono da capogiro: oggi Lego fattura 4,7 miliardi di dollari, con utili per 1,5 miliardi, un +10% nell'ultimo anno preoccupante addirittura per la leadeschip della Mattel. Che infatti ha deciso di passare alla controffensiva. Come? Acquistando la principale società competitor della Lego: la canadese Mega Brands. L'operazione è avvenuta a 17,75 dollari per azione, per un controvalore complessivo di 460 milioni di dollari. Mega Brands ha stimato vendite nette per l'intero esercizio 2013 di 405 milioni di dollari, e si colloca tra i primi 15 marchi mondiali di giocattoli in termini di vendite. Insomma, è guerra a aperta. Da combattere anche nelle sale cinematografiche. Chiaro il riferimento a The Lego Movie, il film appena uscito ma che già sta sbancando il box office. La pellicola racconta la storia di Emmet, un comunissimo omino Lego che viene erroneamente identificato come un personaggio straordinario in grado di salvare il mondo da un'imminente apocalisse: dovrà quindi partire con una compagnia di sconosciuti nel tentativo di bloccare un malvagio tiranno, viaggio per cui sarà drammaticamente e comicamente impreparato.
Dall'universo Lego non resta fuori neppure l'arte: consensi unanimi, ad esempio, li riscuote Nathan Sawaya, artista americano che usa i mattoncini per creare strepitose opere d'arte.
Ma per chi non è un fan dei Lego nessun problema. Sul fronte «giochi manuali» le offerte non mancano e ora sono anche corroborate da uno studio statunitense. Gli esperti sostengono infatti che recuperare le scatole-strenna tipici degli anni '80 (dal mitico meccano al traforo, dal puzzle al calciobalilla, passando per il ping pong da tavolo) «può rappresentare un'utile modalità di apprendimento per i bambini provenienti da classi sociali svantaggiate». La ricerca rileva come, intorno all'età di tre anni, i bambini di famiglie a basso reddito risultino indietro sulle «abilità spaziali»: ritardo spiegabile col minore accesso ai giochi capaci di favorire lo sviluppo di queste competenze. Belle teorie che fanno però a cazzotti con la realtà.


Ma ve lo vedete un bambino di oggi che gioca col meccano, usa il seghetto per traforare il legno o tira calci al pallone sotto casa? Foto sbiadite sul cruscotto della macchina del tempo. Qualcuno saprà rimetterla in moto?

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