Politica

Il Letta d'Arabia usa i petrodollari per sfidare Renzi

Il premier galvanizzato dagli investimenti promessi dagli sceicchi. A Squinzi: "Disfattisti". Confindustria: "Un dovere criticare gli errori"

Il premier Enrico Letta con il Primo Ministro del Kuwait Sheikh Jaber Al-Mubarak Al Sabah
Il premier Enrico Letta con il Primo Ministro del Kuwait Sheikh Jaber Al-Mubarak Al Sabah

«Questa è politica interna». Enrico Letta lo dice a Kuwait City, a costo di sembrare poco credibile. Vuole mettere in chiaro che la missione nella penisola araba (un road show per favorire investimenti in Italia) l'ha fatta non solo da premier in carica, ma anche da esponente della sinistra che può ancora giocare le sue carte per la leadership. Di certo non intende passare per ministro degli Esteri in pectore di un ipotetico governo guidato Matteo Renzi.

Da oggi, primo giorno in Italia, il presidente del consiglio è intenzionato a sparare tutte le cartucce caricate nei quattro giorni trascorsi a firmare accordi e trattare con sceicchi, emiri e ministri, tra Emirati Arabi, Qatar e Kuwait.

Obiettivo dell'offensiva araba di Letta, tutti quelli che negli ultimi tempi lo hanno spronato a fare di più o lo hanno criticato apertamente. La lista è lunga. C'è Romano Prodi che gli ha suggerito un colpo d'ala; sicuramente Confindustria che anche ieri ha polemizzato con il governo. Poi, soprattutto, il segretario del suo partito, Matteo Renzi, che Letta intende affrontare a partire dalla prossima direzione del Pd.

Sono dirette a lui le stilettate partite ieri dal Kuwait durante l'ultimo punto stampa della missione. «Ho letto molti ragionamenti sulla distinzione tra la politica interna e quella estera: questa è politica interna, la politica industriale è politica interna». A fare la distinzione era stato, appunto, Renzi. Ma le parole di Letta significano anche: niente esilio dorato alla Farnesina in caso di governo di centrosinistra.

Respinte al mittente le critiche del segretario Pd. Lui avrà incassato un accordo sulla legge elettorale, ma Letta si fa forte di 500 milioni di investimenti in Italia promessi ieri dal Fondo sovrano kuwaitiano, degli accordi firmati nei giorni scorsi e del piano per Alitalia che prende quota. Peccato che, osservava ieri il presidente di Fratelli d'Italia Ignazio La Russa, «Letta ometta di dire che sempre il Kuwait investirà un miliardo in Spagna ed un altro miliardo in Grecia». Quello che conta è che da ieri Letta può contare su un po' di carburante, che intende sfruttarlo al meglio, utilizzandolo per un rilancio politico in Italia. «Questi risultati sono la migliore risposta al disfattismo imperante nel nostro Paese», dice riferendosi a Squinzi, che però è il leader degli industriali e fa il suo mestiere.

Il disfattismo che il premier vuole smontare è semmai quello di chi nelle settimane passate aveva detto che il governo «ha fatto poco» o, peggio, ha inanellato «mesi di fallimenti». Quindi, ancora una volta, con Renzi. Pensa al sindaco di Firenze, quando sostiene che «fuori dall'Italia credono in noi e lavorando i risultati si raggiungono» perché «parlano i fatti e non i discorsi». Oppure quando dice che i 500 milioni che dal Kuwait andranno alla Cassa depositi e prestiti a beneficio del credito per le imprese italiane, sono «la dimostrazione che il sistema Italia funziona, che se lavoriamo con un gioco di squadra i risultati ci sono».

Un ricostituente a base di petrodollari in vista della prossima direzione del Pd alla quale intende andare («è il mio partito»). Utile anche per dare forza all'accordo di programma che, dopo i rinvii, vorrebbe rilanciare. «Tornerò in Italia, affronterò le discussioni che avremo, discussioni politiche, con gli alleati, dentro il Pd e i nostri partiti, sapendo però che la strada è quella giusta».

Dal fronte dei «disfattisti» ha risposto solo Giorgio Squinzi. «Abbiamo il diritto-dovere di dire chiaramente quello che serve in questo momento per far ripartire il Paese», ha ribattuto il presidente di Confindustria che comunque si rende disponibile a «qualsiasi tipo di confronto». «Botte da orbi» tra il leader di viale dell'Astronomia e Palazzo Chigi, sintetizza Renato Brunetta di Forza Italia.

A favore di Letta, Maurizio Sacconi del Nuovo centrodestra che ha vede nei 500 milioni di investimenti un «dividendo della stabilità».

E poi, dal Pd, Maurizio Martina, che è sottosegretario all'Expo (uno degli accordi riguarda proprio l'esposizione), ma è anche un esponente della minoranza cuperliana nel Pd.

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