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L'Ue ci striglia: giustizia di parte

RomaLa giustizia in Italia non è né indipendente né efficiente e così non favorisce la crescita. Lo dice il Rapporto Ue, che compara per la prima volta i sistemi giudiziari dei 27 stati membri. E la vicepresidente e Commissaria per la Giustizia, Viviane Reding, avverte che il prossimo governo deve impegnarsi per una riforma del sistema.
Secondo i dati del World Economic Forum, l'Italia occupa il posto numero 68 nel mondo nella graduatoria sull'indipendenza della giustizia. In testa ci sono Finlandia (secondo), Paesi Bassi (terzo), Irlanda (quarto), Germania (settimo), Svezia (nono), Gran Bretagna (undicesimo). Peggio di noi nessun grande paese europeo, solo Grecia e una sfilza di Paesi dell'Est, dalla Slovenia alla Slovacchia. Vuol dire che gli italiani e in particolare gli imprenditori, come gli stranieri, percepiscono la giustizia come fortemente politicizzata, ben lontana dal livello di indipendenza ed efficienza che dovrebbe avere anche per importanti ragioni di ordine economico. Cioè, per non scoraggiare gli investimenti.
Il rapporto sullo stato della giustizia nell'Ue, presentato ieri a Bruxelles dalla Reding e approvato dalla Commissione, lancia un preallarme perché gli stati inefficienti come l'Italia si adeguino agli standard.
La giustizia, si legge nel documento di 24 pagine, non solo dev'essere efficiente, ma deve anche apparire tale e l'indipendenza è uno dei principali fattori che pesa sulla sua immagine. Indipendenza ed efficienza consacrate dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Ue.
Il quadro che ci riguarda è, invece, sconfortante: con 500 giorni necessari per le cause civili e commerciali l'Italia è terzultima in graduatoria, peggio solo Cipro e Malta. Ha anche il maggior numero di cause civili e commerciali pendenti, 7 per ogni 100 abitanti. Segue il Portogallo, con 3 cause e mezzo in sospeso ogni 100 abitanti, circa la metà. Nella giustizia civile, dal punto di vista indipendenza, secondo il World Justice Project siamo al posto numero 22, preceduti ancora una volta da tutti i grandi d'Europa.
Torna così prepotentemente alla ribalta l'esigenza di una grande riforma. Non è più solo il leader del centrodestra Silvio Berlusconi ad invocarla, attirandosi le accuse di farlo per i suoi guai giudiziari, ma la commissaria europea Reding.
«L'attrattiva di un Paese - spiega - per essere un luogo dove investire e fare business è senza dubbio rafforzata dall'avere un sistema giudiziario indipendente ed efficiente». Quando nella conferenza stampa le chiedono se i problemi del nostro sistema giudiziario dipendano anche dal conflitto in atto tra politica e giustizia, lei risponde con un netto: «Giù le mani dai giudici, se vogliamo che la magistratura sia indipendente». Poi aggiunge che l'Italia e il governo Monti «sono consapevoli che il problema dell'efficienza del sistema della giustizia civile e amministrativa ha un impatto molto negativo sugli investimenti». Nell'ultimo anno la commissaria ha «lavorato in stretto contatto con le autorità per riformare il sistema e renderlo più efficiente, affinché i casi amministrativi trovino risposte più rapide e gli investitori abbiano certezza legale». Ma, avverte la Reding, il lavoro «deve continuare» anche con il prossimo governo.
Indispensabile una riforma della giustizia, dunque. «Non possiamo più permetterci di essere il fanalino di coda dei 27 sistemi giudiziari europei - concorda il vicepresidente del Csm, Michele Vietti-. Tra le priorità del nuovo governo ci dev'esserci un posto anche per riforme strutturali della giustizia, che ci liberino dalla maglia nera della eccessiva durata delle cause civili». Vietti è d'accordo con la Reding sia «sullo stretto collegamento tra funzionamento del sistema giudiziario e attrattiva degli investimenti», sia «sulla necessità di garantire al massimo l'indipendenza dei magistrati». Ma quando si parla di riforma della giustizia, subito qualcuno mette le mani avanti evocando Berlusconi.

«Quando vicende giudiziarie sono trasferite sul piano della lotta politica - avverte il presidente dell'Anm, Rodolfo Sabelli- , avviene qualcosa di sbagliato: la politica e la giurisdizione sono due cose distinte».

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