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L'ultimo regalo della Merkel: è in arrivo una patrimoniale

Lo scudo anti spread tramonta: per farlo funzionare bisognerebbe aspettare i tempi delle burocrazie europee, che notoriamente non sono gli stessi dei mercati. Intanto, nonostante il record delle tasse, c'è chi pensa alla patrimoniale

L'ultimo regalo della Merkel: è in arrivo una patrimoniale

Roma - Lo scudo anti spread tramonta. Se non altro perché per farlo funzionare bisognerebbe aspettare i tempi delle burocrazie europee, che notoriamente non sono gli stessi dei mercati. Già da qualche giorno il governo fa notare che l'Eurogruppo che si terrà oggi a Bruxelles, l'ultimo prima dello stop estivo, sarà dedicato quasi esclusivamente alla Spagna e oggi toccherà al neoministro dell'Economia certificare il tramonto del meccanismo che ci avrebbe dovuto salvare, quantomeno dalla speculazione. Vittori Grilli non si aspetta accelerazioni improvvise sul tema; al massimo un altro via libera di principio con i soliti distinguo dei paesi del Nord Europa. Ieri Grilli ha nuovamente cercato di rassicurare gli italiani, escludendo misure eccezionali, anche di fronte al precipitare dei conti spagnoli: «La situazione non cambia». Niente rischio contagio, quindi.

Decisamente più pessimista Giorgio Squinzi: «Di fronte alla speculazione internazionale, siamo quasi tutti a rischio default». Viale dell'Astronomia ha calcolato quanto costa all'economia la parte di interessi sul debito imputabile alla speculazione. Lo spread Btp-Bund, secondo il centro studi, è maggiore di 300 punti rispetto a quello giustificato dai fondamentali. E questa differenza, il costo della speculazione, causa «perdite pari allo 0,9 per cento del Pil e a 144 mila posti di lavoro e maggiori oneri per interessi pari a 12,4 miliardi per il bilancio pubblico, 12,1 miliardi sui conti delle famiglie e 23,7 su quelli delle imprese». La conclusione di Confindustria è, appunto, che serve lo scudo anti spread in versione rafforzata, con la Bce che gestisce, garantisce e controlla. Questa partita, in realtà è rimandata a settembre.
Sempre che non si allarghi lo spread, magari sopra 500 punti, rendendo difficile il pagamento degli interessi. Perché in quel caso potrebbero emergere altre proposte. Su una ha puntato i fari nei giorni scorsi Oscar Giannino e viene dall'istituto di ricerche tedesco Diw. Prestigioso e ascoltato. In sostanza, per risolvere la crisi dei debiti propone una tassa una tantum e un «prestito forzoso» per i patrimoni sopra 250 mila euro, compresi quelli immobiliari. Proposta che Stefan Bach, presidente della sezione del Diw che si occupa di conti pubblici, spiega osservando che in molti Stati i risparmi privati sono molto più consistenti dei debiti pubblici. Descrizione che calza a pennello sul Belpaese visto che gli italiani, riporta una tabella dell'istituto, hanno un patrimonio pari al 555% del Pil, mentre lo stock del debito si ferma al 122%. La proposta è quindi quella di tassare una tantum di 10 punti percentuali i redditi più alti e obbligare i privati a prestare una parte dei loro patrimoni allo Stato, con la prospettiva di una restituirli in futuro, magari «in parte». Ricetta che Bach applica a tutti, Germania compresa, solo che se l'obiettivo è tornare ad un debito sotto il 60% del Pil, Berlino è già a un passo dal raggiungerlo, mentre l'Italia è lontanissima. La proposta, spiega infatti, Bach, «è una opzione significativa» proprio per i Paesi con situazioni più difficili.

A ben guardare la soluzione prospettata non è incompatibile con i vincoli per gli stati dell'Euro che si stanno preparando a Bruxelles. Ad esempio l'European redemption fund, che dovrebbe raccogliere la parte di debito eccedente il 60% dei debiti sovrani dei singoli Paesi, che poi dovranno farsi carico di pagare gli interessi ed estinguerla. E il passo precedente, cioè il fiscal compact. Ieri la Camera ha ratificato definitivamente il patto che vincola i Paesi dell'euro a ridurre di un ventesimo all'anno la quota del debito che eccede il 60% del Pil. Un sì sofferto, con una maggioranza stretta, inedita per l'esecutivo Monti. Su 630 deputati hanno votato in 433 e i sì sono stati 368. Tra i 65 astenuti e i 65 voti contrari ci sono Lega, Idv e un pezzo consistente del Pdl: 5 no, 43 astenuti e gli assenti sono stati 55.
Sarà sicuramente più facile l'approvazione di un emendamento al decreto sviluppo presentato ieri dai relatori. Prevede che il pagamento dell'Iva, per le aziende con fatturati fino a due milioni di euro, avvenga solo quando la fattura viene incassata e non quando viene emessa.

Una boccata di ossigeno per le pmi, che non avranno più bisogno di aspettare per i rimborsi dell'Iva pagata per pagamenti mai arrivati.

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