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Il manager nuovo commissario. Era già stato scelto dalla proprietà come ad. Pdl perplesso

RomaIl governo decide un commissariamento che sembra molto un esproprio. L'esecutivo ha commissariato l'Ilva per tre anni con l'obiettivo di «assicurare la continuità della produzione, il risanamento ambientale e la salvaguardia dell'occupazione». Al vertice il premier Enrico Letta metterà Enrico Bondi, il manager aretino che la proprietà del gruppo aveva scelto come amministratore delegato nel marzo scorso. In 60 giorni dovrà presentare il suo piano all'esecutivo.
La svolta per lo stabilimento siderurgico è arrivata ieri pomeriggio durante un consiglio dei ministri straordinario, che era stato convocato ad hoc lunedì. Il ministro allo Sviluppo Flavio Zanonato ha portato in consiglio un decreto con il commissariamento dello stabilimento siderurgico pugliese e la nomina per 36 mesi di Bondi. Ma durante la riunione la durata del mandato è stata ridotta a 12 mesi, rinnovabile per due volte fino a un massimo di 36 mesi. Limitazioni chiesta dai ministri del Pdl.
Prima del Consiglio dei ministri lo stesso Zanonato aveva precisato che il commissariamento è «a tempo» e che «al termine di questa fase di gestione eccezionale straordinaria potranno essere ricostituiti gli ordinari organi di amministrazione restituendo alla proprietà il pieno controllo dell'azienda, le risorse economiche residue, ove esistessero».
Precisazioni destinate a fermare le prevedibili proteste che ha suscitato il provvedimento. Il commissariamento dell'Ilva è «sbagliato e sproporzionato» «perché per risolvere un problema di enorme complessità, rischia di fare un disastro», ha commentato Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, secondo il quale si «crea un pericolosissimo precedente» per «tutta la media e grande impresa nazionale».
Nella maggioranza le maggiori perplessità sono arrivate dal Pdl. «Ad una prima lettura, il provvedimento sull'Ilva appare costituire un pericoloso precedente per la difesa della libera intrapresa», è la tesi del presidente della commissione Lavoro del Senato Maurizio Sacconi. Il rischio è che lo stesso schema si ripeta per tutte le imprese in crisi. «Se questo fosse il principio che ispira il decreto appena approvato dal governo, saremmo di fronte ad un precedente a dir poco non condivisibile. Non siamo in una dittatura comunista. Spero che l'esecutivo ci ripensi», ha rincarato la dose il presidente della commissione lavori pubblici del Senato Altero Matteoli. Pronta la difesa del ministro: «Non si tratta di un esproprio» e al termine del periodo di commissariamento l'azienda tornerà ai proprietari. Il commissariamento serve ad avere qualcuno di «immediatamente operativo. Amministrare un'azienda di quelle dimensioni - ha rimarcato - non è qualcosa che si improvvisa». L'operazione non avrà costi per lo stato. «Tutte le risorse economiche sono a carico dell'impresa», ha spiegato Zanonato.

Mentre la chiusura costerebbe, all'economia italiana, 8 miliardi.

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