Politica

Matteo Renzi, il diavolo

Berlusconiano, liberista, copione: il Pd si scatena contro il sindaco. Ma perché tanta paura?

Tutto ha avuto inizio nell'ottobre del 2010. Fu quando Matteo Renzi decise di andare ad Arcore dall'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per parlare dello stanziamento per Firenze nella legge "milleproroghe". Un faccia a faccia che gli ha permesso di ottenere il via libera per l'istituzione di una tassa di soggiorno che avrebbe portato nelle casse comunali fiorentine circa 15 milioni di euro all'anno. L'intraprendenza di Renzi non era affatto piaciuta ai vertici del Pd che lo avevano subito accusato di tramare con il Cavaliere per fare le scarpe al leader Pier Luigi Bersani. Da quel giorno addosso al rottamatore è stato gettata ogni sorta di insulto da parte della nomenklatura piddì e dai leader del centrosinistra. Un tiro al bersaglio che punta a smontare la figura del sindaco di Firenze agli occhi degli elettori.

Ai microfoni di Che tempo che fa, ieri sera, Renzi ha parlato a tutto tondo della sfida che lo attende alle primarie del centrosinistra. Lo ha fatto rispondendo con ironia alle accuse che domenica scorsa gli sono state mosse dal leader di Sel Nichi Vendola: "Non ho capito se Nichi si è candidato per parlare delle sue idee o per dire male delle mie". E ancora: "Tutte le volte che uno mi dice che io assomiglio a Tony Blair io gli pago la pizza, la cena". Il governatore della Puglia aveva accusato il sindaco rottamatore di farsi portavoce di idee liberiste lontane dalla matrice di pensiero che vige a sinistra. Il fatto è che Vendola non è affatto l'unico a credere fermamente che Renzi abbia idee più vicine al centrodestra che al centrosinistra. Lo pensa anche Silvio Berlusconi che, qualche settimana fa in crociera coi lettori del Giornale, aveva detto: "Renzi porta avanti le nostre idee sotto le insegne del Pd. Se vince le primarie si verifica questo miracolo: il Pd diventa finalmente un partito socialdemocratico". Un bene o un male? Per molti sicuramente un bene: l'occasione, appunto, per trasformare un partito (ex) comunista in una forza politica effettivamente democratica e riformatrice. Per la vecchia guardia di via del Nazareno e per gli ultrà del Sel è sicuramente un male perché ancora ancorati a quella sinistra radicale negli anni Settanta. Per tutti questi è, infatti, iniziata la campagna di denigrazione per smontare l'immagine di Renzi.

Il sindaco di Firenze gira l'Italia in camper. Alle accuse replica puntualmente, agli insulti risponde con un sorriso. Non si fa prendere in contropiede nemmeno dal Cavaliere. Ai complimenti dell'ex premier aveva risposto: "Berlusconi sa che se vinciamo noi, lui è il primo rottamato". Non è da meno con i compagni di partito. Contro di lui sta infatti piovendo addosso ogni sorta di accusa. Vendola gli dà del liberista, Rosy Bindi parla di “idee berlusconiane”. Per entrambi Renzi va rottamato. Così, se fino a qualche mese fa, il laeder del Sel e la presidente del Pd si scannavano sui matrimoni gay, adesso sono partiti per una crociata di demonizzazione. Matteo Renzi, il diavolo berlusconiano, l'infiltrato delle destre per dividere il centrosinistra, il liberista che scopiazza i compiti fatta a casa da Stefano Fassina, il giovane che vuole buttare a mare i saggi moralizzatori. Contro di lui c'è anche la stampa progressista. Alcune testate hanno addirittura ventilato il fatto che, dietro alle ingenti disponibilità economiche del sindaco, ci sia nientemeno che Comunione e Liberazione. E ancora: La Repubblica porta in palmo di mano Bersani. Renzi non si preoccupa e tira avanti: "Con tutto il rispetto per Eugenio Scalfari, sono un suo lettore, anche se ho capito che lui non sarà un mio elettore. Però credo che le sue analisi non sempre corrispondano alla realtà. In questi ultimi trent’anni non ci ha preso sempre. Spero che continui a sbagliare anche a questo giro. Almeno per scaramanzia non posso che sperarlo". Punto e a capo.

Ma cosa c'è che non va in Renzi? Per dirla con le parole del presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi: "A me, Celentano non piace. Allora ho visto Renzi. Neanche lui mi piace... E oggi piove". Appunto. Il fatto è che, all'interno del Partito democratico, raramente il rottamatore è stato contrastato per le proprie idee. Certamente, infastidisce la proposta di applicare la regola per cui, dopo i tre mandati in parlamento, il politico deve cambiare mestiere. "I vari Bindi, D'Alema, Veltroni hanno tantissimo da dire – va ripetendo da tempo Renzi – ma, se vinciamo noi, avranno la cortesia di dirlo fuori dal Parlamento". Una posizione che sicuramente non fa piacere alla Bindi che, dopo aver equiparato Renzi a Beppe Grillo e Silvio Berlusconi e di averlo accusato del fallimento democratico, assicura che farà il possibile per far vincere Bersani. Stesso discorso per Tiziano Treu. "Io temo che se vincesse Renzi a quel punto non ci sarebbe più il centrosinistra perchè non ho capito con chi dovremmo governare il Paese", aveva commentato tempo fa Massimo D'Alema accusando il sindaco di Firenze di insultare tutti e di "far anche lui parte della nomenklatura fin da piccolo". Per il momento, oltre alle pesanti accuse e ai veti incrociati, tra i vertici di via del Nazareno e Renzi non c'è ancora stato un dibattito sul programma, solo un triste siparietto sulle regole per partecipare alle primarie. Regole modificate per permettere anche al sindaco rottamatore di partecipare.

Almeno per ora.

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