Cronache

Un medico si confessa: "Ho dato la dolce morte a centinaia di pazienti"

L'ex anestesista di Cagliari: "Non la chiamo puntura letale ma pietà. L'ho fatto anche per mio padre e mia sorella"

Un medico si confessa: "Ho dato la dolce morte a centinaia di pazienti"

Le sue rivelazioni faranno scalpore. Eppure Giuseppe Maria Saba, ex anestesista oggi in pensione parla senza enfasi, con la naturalezza di chi, con la morte, ci ha già fatto i conti da tempo che dopo anni in corsia, a volte è meglio scendere a compromessi. È così che senza tanti giri di parole racconta: «Ho aiutato a morire un centinaio di malati, non la chiamo anestesia letale ma dolce morte, una questione di pietà». Ha 87 anni il dottor Saba, già ordinario di Anestesiologia e rianimazione all'Università di Cagliari prima e poi alla Sapienza di Roma e in una intervista esclusiva al quotidiano L'Unione Sarda torna a parlare del tema più delicato che ha a che fare con la medicina: la morte. Il capolinea della scienza, quando l'uomo impotente alza le mani perchè da lì in poi non ci sono più farmaci o cure. Per chi crede resta la fede, o il destino, qualcun altro lo chiama caso. Così la testimonianza e la voglia di parlare del dottor Saba è destinata a riaccendere le luci sul dibattito sull'eutanasia. Un tema delicato e difficile da affrontare, trattato come un tabù perchè non ammette vie di mezzo e impone una posizione netta. L'ex anestesista invece vuole far sapere, raccontare «perchè non ne posso più del silenzio su cose che sappiamo tutti. Parlo dei rianimatori. La dolce morte è una pratica consolidata negli ospedali italiani ma per ragioni di conformismo e di riservatezza non se ne parla». Il dibattito è stato riacceso dopo le dichiarazioni di Mario Sabatelli, neurologo del Policlinico Gemelli, sulla libertà del malato di poter interrompere trattamenti sanitari invasivi. Ma il tema non è all'ordine del giorno dei lavori parlamentari, nonostante l'invito rivolto a marzo al Parlamento dal presidente della Repubblica e le 70mila firme di cittadini che chiedono una legge che ne regolamenti gli aspetti principali.

Dopo essersi dichiarato laico e di non credere ai miracoli il dottor Saba, in pensione dal 1999, ha spiegato che non è la prima volta che parla di dolce morte anzi: «nel 1982 in un'altra intervista ho raccontato di aver dato una mano ad andarsene a mio padre e, più tardi, anche a mia sorella», e di esser, per sè stesso, per l'auto-eutanasia. Ho un accordo preciso con mia moglie». Ha quindi rimarcato che per mettersi in pace con la coscienza ed essere rispettosi del Codice deontologico dei medici alcuni parlano di desistenza terapeutica anzichè di eutanasia ma «il termine desistenza, cioè smetto di ventilarti meccanicamente, significa che sto comunque staccandoti la spina». Alla domanda del giornalista Pisano quando è «il momento di intervenire» ha risposto con un episodio: «Avevo un amico ricoverato: blocco renale e convulsioni. Il collega che lo seguiva mi ha chiesto: che facciamo? Ho risposto: io gli darei un Talofen. È un farmaco che, ad alto dosaggio, blocca la respirazione. Credo gliel'abbiano dato. Il giorno dopo era in obitorio». Nella sua carriera ha aiutato malati «quando era necessario, quando te lo chiede e quando tu, nella veste di medico, ti rendi conto che ha ragione. Che senso ha prolungare un'agonia, assistere allo strazio di dolori insopportabili che non porteranno mai a una guarigione?». Per questo, si confessa, «non ho nulla da rimproverare a me stesso.

L'ho sempre fatto di fronte a situazioni che non avevano altra via d'uscita».

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