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Montanari: "La Iotti?  Oggi tutti la difendono Prima il Pci la umiliava"

Dopo le polemiche Otello Montanari, deputato amico della Iotti, rivela: "Oggi la difendono, ma io la vidi piangere per le loro calunnie"

Montanari: "La Iotti?   Oggi tutti la difendono Prima il Pci la umiliava"

Ecco l’intervista pubblicata da Il Giornale di Reggio, a Otello Montanari, 85 anni, ex partigiano e deputato del Pci dal 1958 al 1963, dopo le affermazioni di Da­niela Santanchè, che ha parago­nato Nicole Minetti a Nilde Iotti.

Invidie, calunnie, umiliazio­ni. Le parole di Daniela Santan­chè­su Nilde Iotti indignano la sini­stra che non gradisce l’irriverente paragone tra l’ex presidente della Camera (compagna di Palmiro Togliatti) e Nicole Minetti. Trop­po riduttivo e offensivo l’accosta­mento di donna del capo e quindi favorita nella carriera. La sinistra che oggi si indigna però, è la stessa che tra il 1946 e il 1964 le rese la vita impossibile, contrastandola per­ché rea di essersi messa con il ca­po. A raccontare questa storia d’amore è Otello Montanari,testi­mone dello psicodramma che il Pci viveva nel gestire quella rela­zione tanto scomoda.

Partiamo da qui Montanari. Quando si seppe della relazio­ne?
«Nel settembre ’46, durante la Costituente. Le vicende sono note».

Ma forse meno nota è la reazio­ne del Pci. In particolare quel­lo reggiano...
«Il 24-25 settembre del 1946 To­gliatti è a Reggio».

Il famoso discor­so dei ceti medi ed Emilia ros­sa...
«E la sera prece­dente arriva da Ro­ma e viene allog­giato a casa di Ce­sare Campioli, il sindaco del dopo­guerra ».

Che accadde?
«La Iotti, che aveva iniziato a fre­quentare a Roma Togliatti, impara che è in città. Si presenta a casa di Campioli e la moglie del sindaco non la fa nem­meno entrare in casa».

Cioè?
«La caccia, il suo sesto senso di vecchia contadina comunista le aveva fatto intuire che tra i due c’era un rapporto più che politico e capiva che se si fosse saputa la co­sa tra le donne del Pci sarebbe scoppiata la ribellione».

E Campioli?
«Sostenne le ragioni della mo­glie. La cosa finì addirittura in se­greteria nel marzo del 1947. Il com­pagno Ascanio Fontanesi chiese: “Ma è vero che Togliatti sta con la nostra deputata?”.Venne un mez­zo accidente a tutti. Così si decise di andare a Roma a sentire se fosse vero».

Come andò?
«Andarono Valdo Magnani e Campioli e parlarono con Pietro Secchia, di cui nessuno ancora so­spettava le tendenze omosessua­li. Ebbene: Secchia cercò di pro­teggere Togliatti. Disse che To­gliatti era solo e aveva bisogno di una persona alla sua altezza cultu­rale che gli stesse vicino. Campio­li allora urlò: “È ora di finirla, è co­modo che i dirigenti abbandoni­no le vecchie compagne per unir­si con delle giova­ni: io non lo accet­to!”».

Nel frattempo la relazione pro­seguì e i due si costruirono un nido d’amore in via delle Botte­ghe oscure...
«Tra le scartof­fie dell’ultimo pia­no, perché formal­mente quello di Togliatti era ab­bandono del tetto coniugale. Chiese a Secchia di trovargli un ap­partamento e ci andarono a vive­re lui e la Iotti e Secchia e la sua fa­miglia».

Quando la cosa diventò di do­minio pubblico?
«Con l’attentato del 14 luglio 1948. È la Iotti che salva la vita a To­gliatti e quelle immagini fanno il giro del mondo. Nei giorni seguen­ti la Iotti non poté avvicinarsi al­l’ospedale. Stalin si stupì molto nel suo telegramma e si chiese: “Com’è che i compagni non l’han­no protetto?”. Da quel giorno eb­be molta stima di Nilde. Fu in quel periodo che si iniziò a vociferare di un suo aborto in seguito allo choc dell’attentato».

È vero che toccò a lei dire a To­gliatti che il partito non gradi­va quella relazione?
«Che non la volevamo nel comi­tato centrale. Le scuse erano più sottili, si usava sempre la politica. Comunque furono i 15 minuti più d’inferno della mia vita».

Perché?
«Era in corso l’VIII Congresso nazionale del Pci. Il 10 dicembre 1956, nel corso di una pausa dei la­vori, il segretario reggiano Onder Boni convoca una riunione clan­destina della delegazione reggia­na: Nilde viene estromessa. Si de­cide di comunicare a Togliatti che il partito era contro l’ingresso del­la Iotti nel comitato centrale del Pci».

Perché? Invidia? Perbeni­smo? Per timore che la donna del capo potesse avere favoriti­smi?
«Una serie di fattori. Il Pci dopo la cacciata di Valdo Magnani (che criticò l’allineamento comunista a Mosca, ndr) era diventato dog­matico. Su certi temi era molto più aperto il Psi del 1910. Però con­tro di lei si usarono argomenti de­boli».

Tipo?
«Che veniva poco a Reggio (il suo collegio), che non andava a trovare in carcere Germano Nico­lini ed Egidio Baraldi (detenuti per alcuni delitti rossi del Dopo­guerra, poi riabilitati dalla giusti­zia, ndr), si temeva l’invidia, più che i favoritismi, perché quando si muoveva Togliatti lei c’era sem­pre. L’argomento forte utilizzato era che potevano esserci altre don­ne che potevano essere più utili al partito. Ma era un’arma debole».

Perché andò lei?
«Lo decise Boni: “Sei stato suo allievo,vai tu”. A me tremarono le gambe, ero inesperto, avanzai qualche riserva. Non ci fu nulla da fare. Ero il prescelto. Così mi feci coraggio e andai da Togliatti che era concentratissimo nel correg­gere la sua relazione».

Lo prese di petto?
«Macché, lo cercai e il segreta­rio mi disse che non doveva essere disturbato. Stetti un quarto d’ora alle sue spalle. Poi, dato che ci co­noscevamo già, mi vide e mi disse: “Bè, che c’è?”. Balbettavo, incespi­cavo con le parole, riuscì solo a di­re: “Noi siamo contro”. Aveva ca­pito tutto, nessuno di noi due no­minò mai il nome di Nilde».

E lui?
«Chiese: “Perché?”. Avanzai le mie modeste scuse a cui lui obiet­tò con pacatezza smontandome­le a una a una. “Ma come non è mai a Reggio?Quando parte da Ro­ma sta da voi due o tre giorni”. E an­cora: “I compagni in carcere? Ma di Nicolini e Baraldi ce ne stiamo occupando noi”.A quel punto pro­vò a sondarmi: “Ha per caso fatto qualche cosa contro la nostra mo­rale?”».

E lei cosa rispose?
«Sempre più imbarazzato gli dissi che non c’era nulla di tutto questo, che era correttissima e in­tegerrima. Alla fine capitolai: “Mi hanno detto di dire che siamo con­tro”. A quel punto Togliatti mi guardò e senza alterarsi di un milli­metro mi disse: “Sappi che ho la pelle del rinoceronte: sono abitua­to a sentire le cose più incredibili e dure e non me la prendo mai. Dun­que con la situazione politica at­tuale a Est, l’Ungheria a ferro e fuo­co e con la crisi del Canale di Suez voi vi concentrate su questo?”. Ri­masi muto. Alzai la testa e vidi Nil­de: era in piedi nell’immensa pla­tea vuota del palazzo dei congres­si dell’Eur».

Uno psicodramma...
«Provai a guadagnare l’uscita. La Iotti cercò di raggiungermi, io mi infilai in bagno e lei mi inseguì quasi fino alla toilette. Pretese del­le spiegazioni. Quando le dissi quello che avevo fatto scoppiò in pianto, a dirotto: i compagni che passavano rimasero sbalorditi, pensavano che le avessi messo le mani addosso. Poi mi disse: “Ma non capite che lo amo?Che è l’uo­mo della mia vita?”. Le dissi che me ne sarei andato perché stavo incominciando a piangere anche io. Non ne parlai mai con i compa­gni ».

Togliatti non tenne in conto quel vostro niet?
«No. Entrò comunque nel comi­tato centrale».

La Iotti avrebbe lasciato la poli­tica per stare con il Migliore?
«Non lo so. So solo che quando Togliatti morì nel 1964 lei lo accudì tenendogli la mano fino all’ulti­mo e lui non cercò altro che la sua mano».

Non possiamo dire che venne favorita, d’accordo, ma To­gliatti badò più al cuore che al­la ragion di Stato?
«Togliatti fece una scelta che an­dava oltre l’affetto. Ma sia chiara una cosa che la Santanché non ri­conosce: la Iotti in quella storia d’amore ci rimise e basta».

Ma la carriera politica l’ha fat­ta...
«Tutti gli onori e le responsabili­tà che assunse gli erano dovuti, se li meritava ed erano rispettosi dei suoi talenti».

Allora perché oggi la sinistra si scandalizza se un politico di de­stra favorisce la carriera di una donna?
«Io credo che sia la natura del rapporto ad essere diversa. Quel­lo era un rapporto d’amore. Pun­to e basta.

Non ho altro da dire su questa vicenda».

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